Chi legge «Puisie piccirêlle» di Benedetto
Pistocco, prima di dare un giudizio, deve leggerle tutte con attenzione, deve trasferirsi idealmente nel «piccolo
mondo antico» di villaggio e immedesimarsi in esso, e deve vedere l’ambiente dove
sono nate, la bassa valle del Lete, ricca di verde, protetta a Settentrione
dalle imponenti montagne del Matese. Solo così possono essere capite e gustate.
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Capite, se si scava sotto il cicaleccio anonimo di tutti
i paesetti. E ci si trova l’espressione di una realtà quotidiana di fatica e di
evasione, di realtà dura e di ricordo ideale, di cronachetta e di bisogno di
ritornare, di fondersi in quel cicaleccio, con quelle persone, fra quelle
casette, in quello scenario...
Il poeta vive lontano, nel Friuli. Quella vita di ogni
giorno, senza significato per chi ci vive, acquista per lui il sapore della
«dolcezza amara», e allora la chiacchiera assurge a poesia, la cronaca a
dramma.
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Oltre questo valore che scaturisce dal subcosciente di
Pistocco, le poesie hanno il merito dell’arte di lui. Le scenette di ambiente
sono presentate con semplicità, con evidenza e con grazia. I brevi dialoghi
sono ricchi di brio paesano. In alcune sentimento e fantasia non appaiono
palesemente. Alcune sono solo pungenti. In altre traspare una lieve pittura di
ambiente . In «Se nasce e se more» il piccolo ambiente avverte di essere
schiacciato dal fatalismo, ma la tenerezza erompe da «A la funtana» e da
«Cunzigli a mmama». Tenerezza e nostalgia si accavallano in «Le prete». In
«Rànuli» è evidente la poesia delle piccole cose. «Fuossu fuossu» ci dà
l’immedesimazione in chi stenta. In «Ašpettammu» ci sta pura fantasia che nasce
dalla festa paesana e si affaccia alla fine di tutto. «Luna janca» conclude,
piccola gemma di tenerezza rivolta al mondo infantile svanito colla scomparsa
delle fantasie e dell’affetto materno nei quali un giorno viveva, mentre oggi
gli appaiono nostalgicamente collegati, allora nell’immagine meravigliosa la
vita, oggi a riconoscerla cupa e senza sogni.
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Benedetto Pistocco non sta alle prime armi. «Il campo»
pubblicato altrove, manifesta lo stesso tormento. Lì, contemplava da solo la
sua estraneità al mondo della fanciullezza, ma qui la solitudine è più amara,
sia perché è insospettata sotto l’apparenza, sia perché viene avvertita come
isolamento forzato, e dà ragione alla considerazione di Goethe quando disse:
«Nessuno è così solo come chi si trova sperduto in un’immensa folla». La
«folla» in cui Pistocco intimamente vive, lo rimanda al luogo e al tempo quando
non si sentiva sperduto fra estranei. E in questo bisogno, oggi forzatamente
occulto, sta il dramma da cui scaturisce la sua autentica poesia.
Piedimonte
Matese, 9 Novembre 1982
DANTE B. MARROCCO
Presidente
dell’Associazione storica
del
Medio Volturno