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   Piedimonte Matese (paese della Diocesi): le chiese.

   

Il nome è dato dalla geografia, e finora il primo documento in cui appare è quello riportato da Gattola: (il quinto pezzo di terra) quinta vero in loco ad pede de monte, ubi dicitur ad pede de monte, ubi dicitur ad pèntuma et petra cupa, erga fulbio Torano[1]. La specificazione «Matese» è dell’11 Agosto 1970.

 

Dalle Rationes decimarum (Campania, 150) si sa che nel 1308, tutti i chierici di Piedimonte pagano in blocco 8 tarì che valgono 4 oncie e tarì 26½, ed altri 6 tarì e 13 grani per la seconda decima. Nel 1325, insieme coi chierici sta un arciprete, e pagano in tutto 18 tarì.

 

L’organizzazione ecclesiastica attuale risale al vescovo Sanfelice, con la sua tipica divisione nei territori parrocchiali di Piedimonte, Vallata e Castello.

 

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ÌLe chiese di Piedimonte Matese

 

1)     Cominciamo dalla vecchia Piedimonte.

 

         Basilica di S. Maria Maggiore, o A.R.C.: Ave Regina Coelorum.

La pieve dell’antica, piccola Piedimonte, sorgeva a Piazzetta, oggi Largo S. Maria Vecchia. Aveva la facciata rivolta a Nord, il coro laterale all’altare maggiore, il campanile innalzato nel ‘200, a sinistra vicino all’ingresso superiore dell’attuale palazzo ducale: era lunga 68 palmi (anteriori alla riforma del 1840), larga alla porta 38 palmi e all’altare, compreso il coro, 60.

Nel 1581, secondo la bolla dell’arcipretura, appariva decora, venuta ac ampla forma aedificata, ma nel 1734, secondo un ricorso del clero di Vallata, appariva piccola, rustica, dal soffitto cadente: antiquata, rustico pariete ad intra et extra, parva et incapax populi parochiae propriae, absque architectura confecta cum lacunari et campanaria turri pene labentibuS.

In effetti fu chiusa al culto nel 1753; nel 1772 fu abbattuta.

In S. Maria fu predicata la Crociata, e si riunì il clero in capitoli generali.

Dalla fine del ‘500 si intitolò Maggiore, cioè la chiesa principale dedicata alla Madonna, e fu per secoli il sepolcreto di Piedimonte.

L’attuale S. Maria sorse sotto la rupe del Migliarulo coronata dalle mura fortificate ricavando il materiale dal posto.

Il 7 Aprile 1725 fu benedetta la prima pietra dal vescovo Porfirio, presenti i personaggi di Casa Gaetani e un popolo plaudente come si sa dalla cronaca in latino del curato G. Pagano nel IV registro dei battezzati di S. Maria Maggiore.

Dopo qualche anno, raffreddatosi l’entusiasmo, le fabbriche furono abbandonate.

Abbattuta S. Maria vecchia furono ripigliate, e si giunse al 7 Agosto 1773, quando fu aperta al culto dal vescovo Sanseverino, uscito processionalmente da palazzo ducale col capitolo, il clero e il seminario.

I canonici si recarono a S. Giovanni e di lì portarono il Venerabile, si cantò la messa pontificale dopodiché il sindaco Vincenzo d’Amore consegnò le chiavi al Capitolo (atto del notaio Pasquale Paterno in 7 articoli).

Il gesto veniva a dire che la chiesa, fatta con sottoscrizione popolare, era di patronato comunale, tanto che il comune accantonò 20 Ducati l’anno per accomodi, come da lettera dell’arciprete Ragucci del 20 Maggio 1817 al sindaco.

La chiesa ebbe il campanile nel 1827, progetto dell’Ing. Brunelli, e nel 1858 la facciata, progetto Ing. Garzia, con la sottoscrizione di Piedimontesi per lo scampato regicidio di Re Ferdinando II, l’8 Dicembre 1856.

All’interno è lunga m 45,65, larga m 24,10 alta al centro della cupola m 26 circa.

Oltre all’altare maggiore in fabbrica, rivestito di intagli, a sinistra entrando sorge il battistero e le cappelle di S. Raffaele (dei Pertusio), della Natività (dei Giorgio), della Pietà, detta del Rosario (dei Gaetani d’Aragona), e in fondo S. Marcellino. A destra entrando stanno le cappelle del Crocifisso, con altare del 1916, di S. Anna (dei d’Agnese), di S. Giuseppe (dei D’Amore), del S. Volto, e in fondo del Sacramento. Le tele raffiguranti i titoli degli altari sono state levate, e al loro posto stanno dal 1934 le tavole portate da S. Giovanni che non corrispondono alla dedica degli altari.

Il Tesoro, prima nella cappella di S. Marcellino, al posto attuale dal 1645 conserva statue e reliquie.

Al 1° piano, da sinistra: S. Felice prete e martire, † 30 Agosto 304; nel Gennaio 1799 i Francesi rubarono la testa d’argento, e frantumarono il carnio sotto i piedi; dopo ricomposta in un vaso di cristallo; aveva antico culto a Piedimonte di rito doppio: S. Francesco di Sales † 28 Dicembre 1622, di patronato dei Giorgio, piccola reliquia nella croce pettorale (autentica del vescovo di Nardò, del 21 Gennaio 1721); S. Filippo Neri † 26 Maggio 1595, compatrono di Piedimonte con festa di rito doppio, statua fatta scolpire da Filippo Mastrodomenico nell’ultimo ‘600, con al collo piccola reliquia dono del canonico C. G. Iacobelli; S. Bonaventura martire, con teschio sotto la statua; 2° piano da sinistra S. Marciano martire † 17 Giugno 304, a Roma sulla via Ostiense a 2 miglia dalla città, con interessanti particolari, che insieme a S. Casta stava in un cappella in via Petrara dirimpetto al vico Pimpinella; S. Casta martire † 29 Ottobre 304 (?), se ne diceva l’ufficio insieme a S. Marciano; S. Vittorina di cui non si sa niente, con reliquia del braccio donata da don Carlo Gaetani d’Aragona, come la reliquia si S. Silvia, (strumento notaio Giovanni Antonio de Angelis, 9 Maggio 1650); 3° piano, da sinistra 3 ostensori con reliquie dei sS. Genziano, Claudio e Giusta; scarabattola con reliquie di S. Salvato martire, donate da don Lotario della Cinia, a lui donate dal card. Gaspare di Carpegna (autentica nell’urna, 11 Aprile 1706); scarabattola con teschio di S. Callisto martire non conosciuto; ultimo scompartimento a destra 3 ostensori con reliquie dei sS. Antonina, Concordio e Teodoro: in alto, sul frontone: scheletro intero di S. Giuseppe martire samaritano, pare di Antiochia, † 19 Marzo…, reliquia di grande interesse, se autentica. Dal martirio di lui, per erore prese origine la festa di S. Giuseppe. Il martire era figlio di S. Fotina, e fratello di S. Vittore, tutti uccisi per la fede.

Il Tesoro viene aperto di Natale, Pasqua, S. Marcellino e Ognissanti.

Quanto al latte della Madonna, pure conservato in S. Maria, si avverte che si tratta di una polvere bianca che si portava da Tera Santa, ricavata dalla polverizzazione di una tipica rupe.

Da quando fu aperta al culto è servita anche alle cerimonie ufficiali.

Durante il reame di Napoli, il vescovo, alla presenza del sottintendente e delle altre autorità distrettuali, vi ha celebrato i lieti e luttosi avvenimenti di Casa Borbone.

Col mutare degli eventi, dal 1860, il vescovo Di Giacomo vi cominciò a far lo stesso per la nuova Italia.

Il 4 Novembre 1860 ci fu solenne rendimento di grazie col Te Deum, per la raggiunta unificazione nazionale, mentre ancora si combatteva a Gaeta.

La prima festa dello Stato (1° domenica di Giugno), fu solennizzata al Mercato, ma il 28 Giugno, il vescovo celebrò in questa chiesa il solenne suffragio per il conte di Cavour, al quale erano stati proibiti i Sacramenti e i funerali religiosi, perché aveva fatto incamerare dallo Stato il patrimonio della Chiesa. Il vescovo liberale, devoto all’Italia sabauda ed una, vi continuò i solenni rendimenti di grazie, ogni 14 Marzo, genetliaco del sovrano unificatore, fino al ’72. Poi la questione romana non permise che si continuasse.

Le cerimonie patriottiche ripigliarono nel periodo fascista specie con quelle imponenti del 4 Novembre, officiate dai vescovi Del Sordo e Noviello.

 

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        A S. Maria Maggiore fa seguito S. Giovanni, a m 267 S. m., il punto più alto dell’abitato, anticamente chiamato «Capo (del)la terra» s’intende Piedimonte murata.

Stando a Trutta sarebbe, come S. Maria, del secolo VI. In effetti, data la struttura gotica del secondo periodo, non va prima del ‘300, ma può essere una ricostruzione.

L’interno è ristretto; ha un altar maggiore rifatto nell’ultimo ‘700 (della stessa mano di quello di S. Maria); a sinistra entrando l’altare del Titolare, il Precursore del Cristianesimo, e di fronte l’altare a S. Lazzaro. La piccola statua di questo, apparendo coperta di piaghe, non è chiaro chi rappresenti, se il risuscitato dal Redentore o il mendicante della parabola: veniva festeggiato l’11 Febbraio, e vi affluivano pellegrini specie se affetti da piaghe, che vi lasciavano ex voto di cera.

Nessun ricordo più, del culto a S. Donato.

La campana grande di questa chiesa ha sonato per secoli il coprifuoco a due ore di notte, fin dopo il 1860, dopo di che era obbligatorio uscire con lume.

Fu officiata dai canonici di S. Maria fino al 1835.

Oggi vi si fa una festa alla Madonna della consolazione, una statua già seduta su un trono.

Restauri vi furono compiuti nel ‘700, e recentemente con affreschi di Bocchetti (S. Giovanni Battista), e fusione della campana.

Un crocifisso e cinque tavole rinascimentali, e un Martirio di S. Marcellino del ‘600 sono stati trasferiti a S. Maria.

 

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        S. Sebastiano al largo omonimo, fondata dai confratelli di S. Maria Occorrevole; rifatta nell’ultimo ‘600, fu consacrata dal vescovo Porfirio nell’ultima Domenica di Settembre del 1709, ed egli, per l’occasione vi annesse indulgenze lucrabili ogni anno nell’anniversario; officiata da sei cappellani che prima stavano a S. Maria Occorrevole, nel 1760 fu restaurata e abbellita. Finita la confraternita passò alle Opere pie, e dal 1866 alla congrega di carità. Non è più officiata.

 

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        S. Maria di Costantinopoli, la chiesa dello Scorpeto, consacrata a una devozione nata nel reame di Napoli fin dal 1452, quando una icone bizantina della Madonna approdò in Calabria, e fu venerata come Odighitria, o del buon cammino. La confraternita fondata nel 1626, restaurò o rifece una precedente cappella, murandovi la lapide:

COSTANTINOPOLIS VIRGO HAC VENERATUR IN AEDE / HANC ILLI EREXIT NOMINE DICTA SUO CONFRATERNITAS.

Era officiata da sei cappellani partecipanti, che il 9 Aprile 1713 firmarono i capitolati con gli ufficiali della confraternita.

Ha tre belli altari marmorei, e la cripta servì da sepoltura agli scorpitari, e nel 1837-40 a tutta Piedimonte, non potendosi seppellire più sotto le chiese in città per decreto di Re Ferdinando II, in seguito al colera.

Il 21 Marzo 1732 il vescovo Iovone stabilì che vi si poteva ritenere il Sacramento, senza ledere i diritti di S. Maria Maggiore.

La decadenza cominciò nel 1809, quando Murat non riconobbe i crediti dei luoghi pii, e togliendo ad essi ogni autonomia, li sottopose a commissioni di beneficenza (poi congreghe di carità, poi E.C.A.).

Con la svalutazione dei titoli di rendita è finita anche l’officiatura festiva di questa chiesa, come di S. Sebastiano.

L’ultimo cappuccino di S. Francesco, fra Isidoro, sfrattato di lì vi si rifugiò, curò il simulacro della Visitazione, e compose per la festa del 2 Luglio una devota e bella canzone: «Su pensieri, volate, volate – all’ebrea fanciulla Maria: - O dolcezza dell’anima mia, – ti saluto dicendo così… ». Anche la novena era caratteristica. L’invocazione del corifeo veniva completata dal popolo, ad eS. (corifeo, a una voce): O maria, madre amorosa, (popolo, a due voci): senza spina, bella rosa…

 

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        S. Rocco. Dove inizia la salita della Petrara, sul terreno ceduto da Maria di Trutto vedova Contenta (atto per Notaio Angelo de Rinaldis di Roccaromana), la confraternita di S. Maria Occorrevole innalzò una chiesa dedicata a S. Rocco di Montpellier, morto trentaduenne il 16 Agosto 1327, dopo il pellegrinaggio in Italia, e le dolorose sofferenze a Piacenza. Il 13 Luglio 1743 il santo fu eletto patrono di Piedimonte in unione a S. Marcellino.

La chiesa fu ceduta alla confraternita di Morte e Orazione (atto per Notaio Michele Perrotta del 21 Novembre 1611), da poco fondata. Questa in segno di omaggio, s’impegnava a portare ogni anno nel santuario, una libbra di cera, il Martedì di Pentecoste.

I fedeli che sceglievano la sepoltura sotto questa chiesa divennero tanti, che il curato di S. Maria, nel 1632 ricorse alla Congregazione dei Riti. Il 21 Agosto 1632 il card. Rospigliosi rispose che l’arciprete o curato di S. Maria doveva avere quanto gli spettava anche per i seppellimenti in S. Rocco: esse manutenendum in possessione supradicta munia exercendi et peragendi etiam in ecclesia sancti Rochi quando cadavera defunctorum deferantur….

 

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         Attigua sorge la cappella dell’Addolorata, unico altare, dalla quale esce la raccolta processione del Venerdì santo.

         Per S. Francesco, la chiesa dei Cappuccini alla Petrara, si veda il capitolo sui Religiosi.

 

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Nell’antica Piedimonte ricordiamo le piccole chiese di

      S. Arcangelo presso la porta e la grotta omonima; più in alto

      S. Lucia ad montes, al Pizzone;

      S. Maria degli Angeli, fra S. Maria e S. Giovanni; oltre il Torano, ultra aquas,

      S. Benedetto, in dialetto «Santu Vennittu», oggi Pietà, con tracce di affreschi del ‘500;

      S. Jacopo, in dialetto «santu Iaco»: l’ultimo edificio sulla via vecchia di monte Muto, edificato dalla confraternita di S. Maria Occorrevole;

      S. Gabriele, nella via a monte di S. Rocco, sotto il palazzo Giorgio;

      S. Marciano, e la cappella Ciminelli in via Petrara presso il vico Pimpinella; Oltre il Rivo, nel sobborgo Coppetelle,

      S. Nicola, nel ‘300 intitolata S. Spirito, rifatta nel primo ‘700, che conserva ancora belle pitture a fresco trecentesche; scendendo per l’antica via delle botteghe e starza (oggi via E. d’Agnese e Mercato),

      S. Biaso presso la Crocevia, cui era annesso il piccolo ospedale medievale di Piedimonte murata,

      S. Antonio, patronato dei Ragucci, edificata nel 1750 c. Presso il ponte Toranello (oggi del Carmine), le cappelle di

      S. Sebastiano e di

      S. Maria del ponte, nel 1538 cedute ai Carmelitani, e ricostruite nella loro chiesa. Poco oltre S. Marco, alla via omonima.

 

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         S. Tommaso d’Aquino, detta S. Domenico alla Crocevia: eretta negli anni 1394 e seguenti da Sveva Sanseverino Gaetani signora di Piedimonte; vinte le ostilità del vescovo Alferio, la chiesa, dotata di ospedale e di ricovero per i pellegrini, fu consegnata ai Domenicani nel 1414.

Il 1 Febbraio 1397 Papa Bonifacio IX, a chi la visitava annualmente nel giorno di S. Tommaso e dava qualche aiuto ai lavori, concesse l’indulgenza plenaria identica a quella della Portiuncola di Assisi[2].

Agnese Gaetani fece costruire una cappella rimasta sotto il patronato di famiglia (da ciò i cancelli).

Oltre all’altar maggiore, la chiesa ebbe a destra: cappella del Presepe, sottostante al campanile (del 1601), poi dedicata a S. Pietro da Verona, di patronato dei Confreda, la cappella detta del Rosario, dei Gaetani d’Aragona, la cappella dei santi domenicani (statue di S. Domenico, S. Tommaso e S. Vincenzo), e l’altare del nome di Maria. A sinistra, l’altare del Ritrovamento della Croce, detto pure di S. Elena Imperatrice, col sottostante sepolcreto dei Genovese, l’altare dell’Ecce Homo (vi erano statuette delle Anime purganti), della Natività, detto pure del S. Nome, e di S. Vincenzo Ferreri. Sul coro, ai lati del Crocifisso, stanno le statue-reliquiari dei sS. Fiorentino ed Ercolano[3].

 

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         S. Maria del Carmine, dov’è la piazza omonima, al lato Nordest, col campanile all’angolo; edificata nel 1538, aveva sette altari, e sull’entrata la cantoria ed il coro; nel disegno dell’ing. Michelangelo Pasquale che rappresentava la chiesa, sulla porta maggiore si leggeva A. D. 1781, e sulla porta del campanile 1782 D. M., segno che erano stati rifatti in quell’epoca[4].

Dissacrata nel 1813, fu adibita a magazzino della filanda Egg; quasi distrutta dalle mine tedesche il 19 Ottobre 1943, fu livellata al suolo nel 1972.

 

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          S. Maria Occorrevole. – Nei capitolari sui Religiosi e sui sodalizi si parlerà di quanto altro la riguarda, qui c’interessa la chiesa.

        A parte l’abside, risalente al Trecento, dal breve di Papa Innocenzo VIII del 1487 la chiesa appare già costruita.

        Tutte le fabbriche furono completate nel 1504.

Gli altari laterali sono recenti: (navata sinistra dalla porta) S. Francesco, consacrato nel 1927 dal vescovo Del Sordo, S. Pasquale Baylon; (navata destra, dalla porta) S. Giovan Giuseppe, Madonna del divino Amore, consacrata nel 1925 dallo stesso vescovo.

Con la venuta degli Alcantarini nel 1674 ci furono decorazioni barocche, eliminate dagli ultimi radicali lavori del 1934-35. Rimase distrutto qualche cosa che si poteva conservare, fra cui la bella iscrizione:

FLENTI SUCCURRO, PRAESENS ACCURRO VOCANTI, / PRO TE HOMINE OCCURRENS OMNIBUS UNA MALIS. / AUXILIO TRINO DEBETUR GRATIA TRIPLEX, / ORE IGITUR SEMPER ME COLE, CORDE, MANU.

I lavori furono curati dal padre Anselmo Chiacchio o.f.m. ispettore onorario ai monumenti.

L’acqua attraverso una condotta forzata di 35 atmosfere, lunga tre chilometri, arrivò da Serra Porcareccia in comune di San Gregorio, il 24 Aprile 1935.

Le spese per l’acquedotto ammontarono a L. 104.000, per i restauri in chiesa a L. 20.000, per il monumento a S. Giovan Giuseppe a L. 15.000, per la nuova sacrestia (eliminazione di infiltrazioni di acque ecc.) L. 27.751, in totale L. 167.751. Il Governo dette L. 54.000 per l’acquedotto, e L. 10.000 per i lavori fatti in chiesa; dai benefattori vennero L. 95.751, di cui L. 14.000 personalmente dal capo del governo.

Lavori più recenti sono quelli per l’oasi francescana.

La carrozzabile, inaugurata il 14 Ottobre 1962, ha raggiunto la balza di monte Muto nel 1971.

I locali dell’antica cappellania, detti «beneficenza», saranno adattati a un gran palazzo di 72 camere, e nel giardino antistante verrebbe portato il monumento a S. Giovan Giuseppe; oltre a ritiri e congressi, vi si ospiterebbero colonie estive; vi sarebbe posto di ristoro, autorimessa ecc.

 

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         Solitudine di S. Maria degli Angeli. – Fu ideata dal provinciale fr. Giovanni di S. Maria.

Il primo sentiero nel bosco fu tracciato dal boscaiolo, di Castello, Ferrantone, e si arrivò alla rupe.

Il progetto dei frati era che l’eremo ricordasse loro la Verna in Toscana e il Pedroso in Estremadura.

La piccola grotta in alto, sotto la rupe fu dedicata a S. Michele del Gargano, le fabbriche della chiesa e del piccolo convento terminarono dopo circa quattro anni, e la chiesa fu consacrata dal vescovo De Lazzara:

CONSACRATA FUIT BASILICA ISTA AB ILL.MO ET REV.MO DOMINO JOSEPH LAZARA EPISCOPO ALLIPHANO / DIE II AUGUSTI MDCLXXVIII.

Sul cancello d’ingresso, la lapide in alto è attribuita alla religiosa poetessa arcade, principessa Aurora Sanseverino.

TACITURNI ROMITI, O PASSEGGERO, / VIVON LIETI IN QUEST’EREMO BEATO, / CHE NON SENZA PROFETICO MISTERO, / NE’ TEMPI ANDATI IL MUTO FU APPELLATO. / QUI SI CONVERSA IN CIEL, QUI IN SPIRTO VERO, / DA MUTI E MORTI AL MONDO E’ DIO LODATO: / QUI PARLA IL VERBO AL CORE. ENTRI CHI TACE / PERCHE’ ‘L SOLO SILENZIO E’ QUI LOQUACE.[5]

Un viale ombroso, affiancato da una Via Crucis, porta al grazioso santuario e alle cappelle sparse nel bosco. Sono: S. Michele, in alto S. Antonio, fatta costruire dalla duchessa C. Acquaviva; S. Pietro di Alcàntara, edificata per lascito di monS. G. Munos, dopo il 1715; Natività, oggi diruta; S. Giuseppe, oggi diruta, edificata nel 1781 dal P. Gaetano di S. Pietro, Provinciale, e custodiva una copia di Fr. De Mura; quella dedicata a S. Giovan Giuseppe, dove cadde il masso che stava per schiacciarlo, come ricorda la lapide:

D.O.M. SACRUM / IN QUO LOCO B. JOHANNES JOSEPHUS A CRUCE / AB EXTREMO DISCRIMINE COELESTI OPE SERVATU EST…

Nel 1779 fecero il lastricato innanzi alla chiesa e il giardino sottostante; altri restauri vennero inaugurati il 2 Aprile 1905 fino agli ultimi, curati nel 1975-76 dal padre Nicola Borretti o.f.m., coi quali sono state rifatte tutte le strutture interne.

Mettendo da parte qualche cimelio inaccettabile, e le imitazioni (S. Sindone, S. Chiodi, Veronica), fra i cimeli ricordiamo quelli riguardanti S. Giovan Giuseppe (la maschera di cera fatta da Maria de Matteis, il bastone che volò nel duomo di Napoli, dove l’aveva perduto), e il velo di monacazione di S. M. Maddalena de’ Pazzi; fra le relique insigni ricordiamo i corpi dei santi martiri Petronio (a sinistra) Flaviano (sotto), e Vincenzo (a destra). Il Provinciale fr. Gaetano scrive di averli avuti a Roma nel 1777, furono rivestiti di porpora data dalla Regina M. Carolina; a Piedimonte furono fermati al casino del duca, e la domenica 16 Settembre 1720 una processione, preceduta dal duca e da tutti i galantuomini, si diresse all’Annunziata, poi a S. Maria Maggiore, e il giorno seguente da S. Sebastiano le urne salirono a S. Maria Occorrevole; nel 1782 si aggiunsero altre reliquie di S. Vito martire, S. Donato vescovo e martire, e del beato Matteo da Girgenti. Su tutte emerge per la singolarità, il sangue di S. Teresa di Avila † 5 Ottobre 1582 (per la riforma del calendario calcolata al 15 Ottobre): la reliquia, portata a Napoli, era passata dal vescovo di Pozzuoli Nicola de Rosa, al protonotario apostolico Nicola de Bony, al principe di Piedimonte: il sangue era aggrumato, entrando nella solitudine si sarebbe liquefatto, dal Dopoguerra è tornato aggrumato; manca l’analisi chimica.

 

Bibliografia: Fr. Diodato dell’Assunta: Fr. Giovan Giuseppe di Gesù e Maria, Fr. Casimiro di S. Maria Maddalena, v. S. Giovan Giuseppe, nel capitolo sui Culti speciali; Fr. Gaetano di S. Pietro d’Alcantara: Ragguaglio della restaurazione del convento della Solitudine… (Napoli 1779); D’Andrea F. G.: Repertorio bibliografico dei frati minori napoletani (Napoli 1974); su storia e possessi di S. Maria Occorrevole: Anonimo: Sulla controversia dei minori Osservanti Scalzi di S. Maria Occorrevole col signor don Alessandro del Giudice di San Gregorio (Piedimonte 1883); (opuscoli) Bovenzi C.: Il santuario di S. Maria Occorrevole di Piedimonte – Memorie (Piedimonte 1910); Gervasi V.: Un sorriso di sorella acqua sul Monte Muto (Napoli 1934); Principe L.: Andiamo a monte Muto (Napoli 1971).

 

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2)     Parrocchia di Vallata.

 

         Fra le chiese emerge l’Annunziata, o A.G.P.: Ave Gratia Plena.

Nel 1417 divenne parrocchia collegiale dell’ampia vallata di Piedimonte fino al confine con Alife, ma s’ignora da quali chiese derivasse in essa la concentrazione della cura d’anime.

Secondo Trutta risalirebbe al secolo X.

Cresciuta la popolazione di Vallata dopo il 1561, con gli immigrati da Alife e con l’industrializzazione di Piedimonte, la chiesa venne rifatta nelle spaziose forme attuali, e consacrata dal vescovo De Medici l’8 Dicembre 1640:

D.O.M. ANNO MDCXL DIE VIII DEC. / ILL. ET R.DUS D. PETR. PAUL. MEDICES EP.S ALUPH.S / HOC INSIGNE TEMPLUM / DEDICAVIT.

È a tre navate, lunga m 32 per 22; ha un soccoprpo di vani intercomunicanti; il campanile fu innalzato nel 1694.

Gli altari delle cappelle sono dedicati: (navata sinistra, dall’ingresso) Battistero; Crocifisso (lapide dei Cavicchia del 1838); S. Stanislao Kotska (lapide dei Pitò e Ventriglia); Madonna della Libera (lapide dei Brando); navata destra dall’ingresso: sS. Giacomo e Francesco; Ultima cena; S. Marcellino (sostituito col Cuore di Gesù), che sovrasta l’ipogeo dei canonici; Concezione, in cui dal 1707 ebbe inizio il culto per S. Venanzio, il quindicenne di Camerino, ucciso per la fede sotto l’Imperatore Decio, commemorato il 18 Maggio: una devozione introdotta dal suo compaesano, il vescovo Porfirio. Sotto la cappella, e sotto la corrispondente, i sepolcreti dei confratelli e delle consorelle della confraternita della Libera; sotto la cappella dell’Immacolata l’ipogeo dei vescovi. Le tombe sono state murate nel 1933.

Le campane sono tre: quella grande dal suono forte e profondo, pesa 16 quintali circa; fu fusa a Guardiaregia da Domenico de Francisco, e benedetta nel 1792; porta impresso il Sacramento, l’Annunciazione, lo stemma di Piedimonte e altro; la media pesa q. 4, e fu benedetta nel 1853 col nome di «M. Grazia». La piccola q. 1,5. La chiesa ebbe restauri e abbellimenti nel 1891 (altare marmoreo e balaustra), e nel 1931.

Oltre alla reliquia insigne del teschio di S. Venanzio, si conservano quelle della S. Croce (l’autentica è perduta), e altre dei santi Marcellino, Anastasio, Donato e Vincenzo, delle quali non si conosce bene la provenienza.

 

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         Antica chiesa di Vallata era S. Nazario nella località fra via Elci e via Paterno; sorse nel sec. X ad opera di Egilda monaca di S. Sofia di Benevento, e di suo padre, poi, forse perché sorta su appropriazione del terreno, tolta ai fondatori.

Certo è che apparteneva a S. Sofia ed oggi dà il nome alla zona. SS. Trinità, oggi detta S. Lucia ad aquas, esistente dal ‘300; se ne parla nel regolamento del vescovo Sanfelice del 1417; nel 1907 usufruendo del legato di G. Scorciarini Coppola, fu ingrandita su terreno retrostante, a suo tempo donato dall’industriale Egg (di religione zuincliana) al vescovo Di Giacomo, e divenne una decorosa chiesa a una navata con abside a quattro altari; distrutta il 19 Ottobre 1943 dai guastatori tedeschi che avevano minato le case circostanti, è stata ricostruita nel 1956, ancor più grande, con la spesa di L. 4 milioni, contributi governativi per i danni di guerra.

 

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          S. Filippo Neri, fondata nel 1661 da alcuni devoti del santo, P. Cavicchia, A. Paterno, L. Zucchi e G. Maioccolo; restaurata nel 1931 e 1945, è chiesa sussidiaria dell’Annunziata.

 

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          S. Maria d’ogni grazia, nota come chiesa dei Celestini, fu edificata nel 1659-62.

L’attuale edificio appartiene architettonicamente all’ultimo Settecento, segno che alla venuta dei monaci da Alife, le costruzioni erano diverse; nel 1807 vi si trasferì la confraternita del Carmine, che vi sistemò le statue della Madonna del Carmine, di S. Anna, e di S. Angelo carmelitano; il 13 Settembre 1857, l’alluvione invase la chiesa del Vallone, e le statue furono portate via dalla corrente.

Nel 1956 la statua della Madonna fu rifatta in legno, scolpita a Ortisei da V. Demetz e figlio, a spese della devota emigrata Carmela Confreda; anche la statua di S. Anna, in seguito a incendio è stata rifatta nel 1976.

 

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         La Concezione di Maria, oggi nota come Madonna delle grazie, a Cila, appartenne alla parrocchia di Piedimonte di cui segnava il confine.

       Per essa e per S. Benedetto, si legga il capitolo sui Religiosi. Alle notizie che vi si leggono va aggiunto che alla piccola chiesa originaria (dov’è oggi il parlatorio) fu sostituita l’attuale durante gli anni 1830-32, nelle spaziose forme neoclassiche, e vi fu murata la lapide ricordo:

D.O.M. / TEMPLUM HOC SUB SANCTI / BENEDICTI TITULO E FUNDAMENTIS / EXTRUI COEPIT / EIQUE SUMMA MANUS / IMPOSITA EST / ANNO MDCCXXXI SOLEMNITER DEDICATUM EST / VIII KAL. OCT. EODEM ANNO / AB ARCHIEPISCOPO ALIPHANO † CAROLO PUOTI.

 

Nelle campagne, in località Folliscio, sorge la cappellina dedicata a

      S. Pietro nel 1650; al Ravecone sorge

      l’Addolorata; a Capo vallata l’oratorio di

      Gesù e Maria; al Vicinato (oggi via Trutta) la cappella dei Trutta dedicata a

      S. Gaetano, e la chiesa di

      S. Antonio già esistente nel 1735; ricostruita in tempi recenti, ebbe l’altare nel 1907 (sostituito da quello attuale a sola mensa), e la nuova statua del titolare nel 1911.

Quasi dirimpetto alla chiesa monastica del Salvatore, al Largo Polveriera, oggi piazza stazione, sorge

      S. Antonio Abate, S. Antuono, già esistente nel ‘200, nientemeno che come commenda dell’Ordine del beneficio di S. Stefano.

 Ne rimase a guardia un eremita.

Già fatiscente, per la nuova traversa fra Stazione e Chiusa è stata ricostruita più piccola nel 1952. Vi si pratica la benedizione degli animali, il 17 Gennaio.

 

***

 

3)     Terza parrocchia di Piedimonte è Sepicciano.

 

Il nome si trova citato per la prima volta l’anno 969, in un precetto del principe Pandolfo di Capua, che conferma i possessi del monastero di Cingla: in curti et terra de Sepiczani; e nel 1024, pure nelle carte di Cingla è detto in loco Sepiczani (cz si pronuncia ci).

Nel 1695 la popolazione sepiccianara era di 400 persone, e ci fu il primo ricorso alla Congregazione del Concilio: sei persone erano morte senza Sacramenti; volevano la parrocchia sul posto nella chiesa di S. Marcello.

Tutti favorevoli: il duca Gaetani promise 52 Ducati annui per la messa quotidiana, piccoli capitali, per una rendita al 4% furono dati dagli Onoratelli (50 Ducati), dai Manzo (25 Ducati), dai Macera-Iameo (15); gli avventizi furono calcolati a un 9 Ducati annui, e la richiesta partì appoggiata dal vescovo De Lazàra.

Anche il capitolo di S. Maria Maggiore non si oppose a condizione che: 1) nessun obbligo ricadesse mai su S. Maria, 2) ogni anno il parroco offrisse a S. Maria una candela di una libbra, nel giorno dell’Assunta, 3) nessun ostacolo se un canonico di S. Maria volesse amministrare il battesimo a Sepicciano, 4) nessun ostacolo al capitolo di S. Maria quando passa a croce alzata, 5) lo stesso per il parroco di San Potito quando passa col popolo per compiere devozioni verso S. Marcellino e S. Maria Occorrevole, 6) di Sabato santo le campane di Sepicciano aspetteranno quelle di S. Maria Maggiore.

La popolazione si quotò per offrire la cera per le funzioni, l’università contribuì con 8 Ducati annui per l’olio alla lampada del Sacramento.

Il 28 Maggio 1695 la Congregazione del Concilio emanò questo rescritto: Populus Sepiciani ex quatuor centum animabus constitutus, attentis unius milliarii distantia et asperitate itineris a Collegiata Parochiali Terrae Pedemontis, supplicat indulgeri Episcopo, ut ei Parochum deputet proprium, qui resideat in eodem Casali, et ecclesia sancti Marcelli, dum tam ipse, quam Baro loci, Congruam pro eo necessariam subministrabunt. Die 28 Maji, 1695, S. Congregatio…attenta relatione Episcopi Alliphani, benigne commisit eidem et veris existentibus enarratis, super expositis, utatur facultate sibi tributa.

Il 6 Marzo 1697 furono stabiliti i confini con S. Maria Maggiore: a Nord Valle Frisi, a Sud Casino del Duca e Cappella, ad Est Limata e Torelle, ad Ovest Vallone d’Agnese. Il 14 Marzo uscì il decreto vescovile; la parrocchia era indipendente, salvi i diritti di S. Maria: nulli jurispatronatus servitutis subjectam; salvis tamen juribus RR. Canonicorum Insignis Collegiatae Ecclesiae S. Mariae Majoris reservatis…vd. Quod Parochus qui pro tempore erit, solvat singulis annis ipsis Canonicis in die Assumptionis B. M. V. mediam libram cerae albae elaboratae, in signum recognitioniS.

Senonché i 52 Ducati del duca Gaetani d’Aragona non furono dati (erano messe da togliere a S. Maria Occorrevole), e i primi parroci vissero male – Giuseppe d’Abbraccio, dal 6 Aprile 1697, fu il primo – ma quando, nel 1793, la Gran Corte della Vicaria decretò che ad ogni curato spettava la congrua di 100 Ducati l’anno, il parroco Domenico Caso (dal 1787 al ’95) la pretese. Ma da chi? L’università diceva: da S. Maria, da cui deriva; S. Maria Maggiore ribatteva: dall’università, com’è dovunque. Il parroco Caso, promosso all’Annunziata, abbandonò la causa. Negli anni 1806-15 il parroco Iannucci ottenne per supplemento di congrua un canonicato di S. Maria, ma se lo riportò con sé quando vi fu promosso.

Ma ecco finalmente il concordato del 1818: 100 Ducati al parroco e 30 al coadiutore.

La chiesa parrocchiale è ora dedicata a S. Marcello papa † 309, ricordato nel martirologio romano il 16 Gennaio.

Preesisteva all’istituzione della parrocchia, ma non se ne sa l’origine.

Oggi è trasformata in casa parrocchiale.

 

             La chiesa di S. Michele a Sepicciano. (Dal libro: Piedimonte Matese di Dante B. Marrocco, Edizioni A.S.M.V. , Piedimonte Matese, 1999,  pag. 255.)

        Edificata quale cappella gentilizia della famiglia Onoratelli[6] nel 1740, fu consacrata nel 1743 dal vescovo Isabella.

        Rovinata la chiesa parrocchiale di S. Marcellino, il Comune l’acquistò nel 1903 dagli eredi Onoratelli, e la dette in uso perpetuo al vescovo Caracciolo, quale parrocchia di Sepicciano.

        Stilisticamente è di un barocco molto carico. La facciata senza intonaco, ricorda il ‘700 romano, ed è per questo Monumento Nazionale.

        Fu semidistrutta dal bombardamento del 15 ottobre 1943, per cui ha dovuto subire restauri affrettati che ne hanno ridotto il valore. Sono stati fatti dal Genio Civile.

        Vi si celebrano i riti e le feste della frazione, e fra esse alcune con preghiere e novene scritte da persone del luogo.

 

 

Bibliografia: msS. presso l’A.S.M.V.; Ragioni per la parrocchia di Sepicciano.

 

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[1] Gattola: Hist. Abb. Cap. I 32; sul nome e l’origine, v. Marrocco D.: Piedimonte Storia e attualità (Napoli 1961), 29 sgg.

[2] Marrocco D.: Bonifacio IX per i Domenicani di Piedimonte (Capua 1965).

[3] D’Andrea F.: Il convento di S. Tommaso d’Aquino su Annuario 1977 dell’ASMV, 77 sgg.

[4] Perrotti M.: Note storiche (Piedimonte 1896), 309.

[5] Innanzi all’eremo di Papa Celestino V sul monte Morrone, sta scolpita sulla roccia la stessa iscrizione. Se fu copiata da Piedimonte, resta la possibilità che sia stata autrice la principessa Sanseverino, ma se è anteriore quella, copiata poi a Piedimonte, non resta che attribuirla ad Appiano Buonafede poeta-letterato-filosofo, monaco celestino (a Piedimonte ci stava l’abbazia); v. Marrocco D.: L’Arcadia nel Sannio: A. Sanseverino, su Samnium 1952, III.

[6] Antica famiglia, appartenente alla “piccola nobiltà locale”. Proveniente da Alife,  si insediò in Sepicciano dopo la distruzione del 1561 di questa città (cfr. Dante B. Marrocco, op. cit., pag 99).