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      La fortezza sannita a Castello del Matese e

     la necropoli alla Serra di Passo S. Croce a  S. Gregorio

     nell’area alifana (di Domenico Loffreda)

 

 

La necropoli.

    

   Ma sul più antico e vasto cimitero, ignoto per secoli, mai ricordato, mai nominato in racconti o leggende, da sempre, pascolano pecore e capre. L’ampio sito cimiteriale se n’era stato là muto a custodire i defunti, sempre ignorato1, non manomesso, disteso al sole, protetto dalla calvizie del monte. Un giorno, il sonno di mille e mille anni è violato, improvvidamente.  Le tombe, a una a una, provano la violenza del piccone dello sterratore e la delittuosa ignoranza e insensibilità di altri.

   La rivelazione delle antichissime tombe non smuove più di tanto  chi avrebbe dovuto chiedere una ricognizione dei luoghi da parte della Sovrintendenza ai beni archeologici per lo studio degli scheletri e dei reperti. Si ebbe solamente fretta a scavare buche  e a porre a dimora piantine forestali. Che ora sono là rigogliosi orni, ornelli, cedri, abeti…forse così cresciuti, perché fatti pietosi dei miseri resti impietosamente non mai ricordati, non pianti ed ora  dispersi.

Sotto i colpi dei  picconieri erano venute alla luce le remote tombe, una dopo l’altra, non sparse ma allineate, non protette da pietre sepolcrali, ma solamente  delimitate e coperte da pietrame locale; le reliquie non erano del  tutto disfatte, forse per la natura brulla del luogo e in pendio, battuto dal vento, scarsamente impregnato dalle acque piovane e da quella delle nevi liquefatte, che rifluiscono per la china; accanto alle spoglie, un vasetto di  terraglia, per lo più di colore grigio,  e  qualche cuspide di ferro,  residua della lancia.

E’ il ricordo di quel che vidi in quell’anno, 1937, e di quello che casualmente rividi, molti anni dopo, durante i lavori di ristrutturazione della cappella S. Croce, nel 1966. Fui testimone del ritrovamento di una tomba, già in buona parte manomessa, proprio di fronte e presso all’ingresso della Cappella, prima dei tre gradini in pietra  d’accesso, di cui il primo, con il resto di una epigrafe, è ora murato sulla fronte del piano della finestra aperta sul lato destro di chi  guarda… Conservo una cuspide, di piccola dimensione, del tipo delle armi missilia, mentre, aggiungo ora, quella di maggiore lunghezza e più ampia, con alcuni frammenti di una terracotta funeraria, sistemata in una scatola, andò dispersa durante il  trasloco da S. Potito a Piedimonte, donatami quel giorno, sul luogo, da Ugo Caso,2 capo del cantiere istituito dalla Parrocchia per la ristrutturazione del luogo sacro. 

  

  Così scrivevo3 quando, per parlare del mio paese, ho dovuto, nelle pagine del saggio,  soffermarmi a ricordare le vicende della necropoli, a fare qualche riflessione e a sottolineare il significato di quelle tombe su tutto il declivio anch’esso parte della necropoli, non l’abitato che un’antica voce4 poneva a nord del Passo S. Croce, nelle  contrade Nocennole  o Montorfano. Una riflessione successiva, poi, non poteva mancare, perché, a mio parere, è incompleto il discorso su quel crocevia campano-sannitico per il Molise, e sulle numerose tombe ivi rinvenute in momenti successivi. Un’attenzione degli storici specializzati e interessati all’argomento potrebbe arricchire le conoscenze che si hanno dei Sanniti Pentri.

  Degli storici contemporanei dei Sanniti, meno quelli locali, i Marrocco, il padre Raffaele, il figlio Dante, Francesco Saverio Cocchiaro, Giuseppe Verrechia e Flavio Russo, altri non ne fanno cenno.       Eppure, nell’alifano, vi sono stati convegni (Il territorio Alifano- archeologia arte e storia-Atti a cura di L. Di Cosmo e A. M. Villucci, 1987), pregevoli analisi e studi, come quelli di A. Manzo del 1986 e 1968 in Annuari della A.S.S.A. di Piedimonte Matese, ed altri di D. Caiazza, soprattutto in conferenze, sui Sanniti al tempo della seconda e terza guerra sannitica.

  La necropoli, così vasta, un qualche avvenimento non di poco conto e causa di tanti caduti, deve pure avere spinto gli antichi abitanti del luogo, non solo, ma anche i vicini, ad allestirla.   

  Quando le tombe venivano rinvenute, chi ne ebbe notizia, R. Marrocco, ritenne sufficiente, avere acquisito i pochi reperti che gli erano stati portati, diligentemente catalogarli e disporli in una teca del locale Museo Alifano di Piedimonte. Le une, le tombe, e gli altri, i reperti, se visti e arricchiti con altro scavo mirato a raccogliere altra documentazione, avrebbero potuto suggerire ad altri  studiosi di storia sannitica di formulare o rafforzare altre ipotesi e tesi. Mancano, purtroppo, notizie di interessamento sia al tempo dei primi rinvenimenti negli anni venti, mentre erano in corso i lavori del tracciato della strada rotabile, attuale statale per Boiano - Campobasso, sia nella seconda metà dei trenta, al tempo dei lavori per il rimboschimento della Serra. Ora, una particolare recente motivazione, con altre, mi ha suggerito di ritornare all’argomento. 

   Non ignoravo che al già Museo di Piedimonte Matese vi erano catalogati non pochi oggetti rinvenuti, qui e là, lungo i pendii collinari dell’antico territorio alifano, ma ignoravo che ve ne fossero anche di quelle tombe. E’ una confessione. Da molti anni, i più interessanti reperti museali sono custoditi al Museo Archeologico di Napoli. Solamente un interesse particolare avrebbe potuto spingere uno studioso a ricercarli. Ma, provvidenziale, almeno per me, è comparso, edito dalla  A.S. M.V., a cura di Mario Nassa5 il quaderno del “Catalogo del Museo Alifano” arricchito di introduzione, indici, note di aggiornamento e qualche riproduzione fotografica. L’Autore me ne ha fatto omaggio.  Già all’apertura, sorpresa e piacere: n. 19 del catalogo - testa di Venere in marmo, di profilo, coronata di edera, naso e labbra rotti, alta cm 22 Epoca romana, Provenienza S. Gregorio d’Alife; numeri 66, 67, 68 e 69 assegnati a quattro cuspidi di lancia con la misura.

   Meraviglia e mio impegno a conoscere e a far conoscere i reperti, sono tutt’uno; diviene così più concreta e più interessante un’altra riflessione sulla necropoli, anche se a parlarne non è un esperto. All’Università Federico II di Napoli, facoltà di Lettere, un esame di archeologia con il bravo ed esigente prof. Domenico Mustilli, tanti anni or sono, non fa un esperto di quell’affascinante scienza. Altra sollecitazione l’ho avuta scorrendo lo stesso Catalogo, da quella che a me sembra una omissione di localizzazione dei reperti, la quale, a mio parere, avrebbe potuto avere accanto al toponimo attuale, Piedimonte, anche quello dell’antico abitato sannitico, che ora è Castello, insieme a Monte Cila; altra ancora, rileggendo gli studi di G. Verrecchia su capitoli non chiari di Tito Livio sulla seconda guerra sannitica, con la scelta della localizzazione di Cluviae a Castello e a S. Gregorio; infine quella dall’amico G. Bojano,6 che mi invitava a leggere un articolo di Fr. S. Cocchiaro per la Rivista Storica dei Comuni, sullo stesso argomento, ma con individuazione di Cluvia nel comune di Buonalbergo.

   Primo interesse, pertanto, a dare maggiore e più completa informazione sulla necropoli, non già vagamente, non poteva che essere quello di vedere, perché non riprodotte nel Catalogo, le cuspidi e la testa della Venere; quindi, di ottenerne le riproduzioni fotografiche, sia per osservarle più a lungo e a mio piacere, sia per documentarne l’articolo e, per quel che possa valere, dire l’opinione che ne ho maturata. Le fotografie, quando le ebbi, mi facevano vedere la testa di Venere e le cuspidi meglio che negli originali. E pensare che i resti avrebbero potuto essere tanti da allestire un piccolo museo in loco a S.Gregorio.

 Riferisco, prima, quant’altro ho appreso conversando con Pasquale De Lellis7. Ancora, negli anni fine 1950, durante lo scavo per le fondamenta della costruzione dell’ “Albergo Miramonti”, alle Pietre Jonte, presso l’abitato, sul declivio inferiore della detta Serra, vennero alla luce tombe con abbondante quantità di ossa, sulle quali rapidamente furono fatte colate di cemento: ora vi sorge un albergo, e di altro casuale ritrovamento, pressoché nello stesso tempo, nella Piazza B. Caso, scavando la trincea per una fogna. E’ la stessa storia già vista (mi si perdoni il gallicismo) al tempo del primo e del secondo rinvenimento delle tombe a S. Croce, negli anni venti e nei trenta. Unico rammarico: al tempo del primo, come, soprattutto del secondo, ed anche del terzo degli anni cinquanta, vi era la possibilità di operare uno scavo sistematico, per l’esame dei reperti e dell’arredo. In quello del 1937, anno del rimboschimento di tutta la parte della stessa Serra a nord dell’abitato, si diceva che di quelle “cose” ce n’erano già tante. Purtroppo allora faceva testo una propaganda di giustificazione di lavori di scavo approssimativi nella Capitale, per la realizzazione dei Fori Imperiali. E a quel rimboschimento si era dato il nome “Dell’Impero”, in ricordo dell’effimera impresa etiopica.   

  Aggiungo: si ignora, poi, quante volte, da quando, casa dopo casa, il paese si trovò cresciuto su gran parte della necropoli, (è da allora che la strada più a monte del paese è distinta con il toponimo  via Cimitero, nella parlata locale Ciminterio?), i nativi, facendo scavi di fondamenta per quelle essenziali abitazioni, ossia tanto per ripararsi e riposarsi, e per le stalle da servire a deposito del fieno e a ricovero per l’asino o il cavallo, indispensabili ed unici mezzi di trasporto dal paese ai pascoli e alle terre coltive per le contrade matesine, hanno picconato nelle tombe e aperto tanto di fossato idoneo a porvi pietre e calce sulle quali elevare i muri, e dimenticare la tomba o ricordarsene in qualche occasionale discorso, per dire: ho trovato un morto sottoterra: ma senza rimpianto di sorta, perché del tutto ignaro di quel che aveva scavato e distrutto.

    L’ultima l’ho ascoltata da Luigi De Pascale, quando, egli ancora giovinetto, negli anni sessanta, dando una mano al padre Michele che costruiva la casa dove questi ora abita, a destra della statale, a Serra S. Croce, al Km 18,400, vide venir fuori una tomba con ossa e altri oggetti. Anche per quella, non si andò oltre la curiosità e uno sguardo: il padre e un altro operaio non si risparmiarono di  continuare a scavare il fosso della fondazione e, con la pala, a rimuovere ossa, un ferro (la cuspide), frammenti di terracotta e terra e pietre, cumulando tutto ai bordi, prima di spianarlo tutt’intorno, dopo il completamento della costruzione. 

   Non trovo, inoltre, attenzione alla necropoli e ai pochi reperti: se ne fa rara citazione, nessuna della testa della Venere. R. Marrocco8 li cataloga; il figlio D. B. Marrocco9 ne scrive in L’Antica  Alife. La citazione del casuale ritrovamento delle tombe è legato al discorso che l’Autore riprende sull’individuazione d’una strada romana sull’altopiano del Matese, studiata dall’archeologo Amedeo Maiuri10. Egli scrive:

 

   Già si  trovava in costruzione la nuova strada interprovinciale che da Piedimonte, valicando i comuni di Castello e di S. Gregorio, conduce alla località denominata Piano Maiuri e dovrà riunirsi con Guardiaregia e con la Nazionale per Campobasso…Ho però il dubbio che questa strada alpestre sia di origine ancora più antica e che i Romani, utilizzandola,  non fecero che pavimentarla per renderla più agevole….Essa, secondo me,  poteva avere in origine anche lo scopo di  dare agio alle armate sannitiche di scendere attraverso il Matese, al  piano alifano  per  trovarsi  nelle immediate vicinanze del  territorio campano, al contrario,  partendo essi, ad esempio, da Sepino, avrebbero dovuto fare un largo giro per giungere  nel  territorio beneventano e di là nella Campania….Che la strada abbia avuto anche un carattere militare lo dimostra il fatto che anni or sono, durante la costruzione della nuova strada interprovinciale accennata…furono rinvenute nella località S. Croce, di sopra S. Gregorio, gran numero di tombe con corredo guerresco, manomesso dagli sterratori. Di quel corredo soltanto alcune cuspidi di lance si potettero recuperare e conservare nel museo di Piedimonte.

 

   Nel suo Piedimonte Matese,11 lo stesso autore, altro cenno, nelle pagine che dedica ai casali della Università di Piedimonte, e S. Gregorio era uno dei tre con Castello e S. Potito, ma per fare altra ipotesi, quella che non vi sia stato abitato di sorta né a sud né a nord della necropoli:

 

    Numerose tombe militari a S. Croce, risalenti   forse alle guerre sannitiche, non si possono riferire ad abitato civile.

 

   Il dubbio,”forse”, è d’obbligo. Anzitutto non si ha notizia d’altri fatti insoliti ed importanti su quei monti, oltre quelli lunghi, aspri e sanguinosi dei Romani in lotta con i Sanniti per la conquista del massiccio montuoso del Matese, il Tifernus mons. Ma non si può escludere un abitato in altro luogo, diverso da dove il paese ora giace, su vasta parte della necropoli. E. T. Salmon, dei villaggi Sanniti dell’interno, oltre a sottolineare che per lo più le mura di difesa si sviluppavano per non più di mezzo chilometro, aggiunge:

 

    Molti di essi erano poco più che fortezze arroccate in cima ai monti e adattate alle asperità del terreno, sorte per necessità strategica.  Altri erano situati sui  sentieri dei mandriani e lungo altre simili strade del Sannio preromano; nati per soddisfare le esigenze di un’economia agraria notevolmente semplice, servivano da centri di distribuzione e produzione agricola ed erano protetti da palizzate   12

  

G. Tagliamonte, quando nel suo volume sui Sanniti si sofferma a parlare della media e l’alta valle del Volturno, ricorda:

 

    Scavi e rinvenimenti occasionali effettuati  nel secolo scorso e in quello attuale hanno gettato squarci di luce sulla vita e sulle  culture indigene ivi stanziate tra la tarda età orientalizzante e il V  sec. a. C. … Le frammentarie… indicazioni di cui disponiamo sembrano infatti attestare, nel periodo in questione, la esistenza di insediamenti stabili, individuati dalle necropoli…Questi insediamenti, che non debbono aver oltrepassato la dimensione del villaggio, risultano più  numerosi nella zona a destra del Volturno: i principali parrebbero quelli di Caiazzo (Caiazia), Alvignano (Compulteria), Treglia (Trebula Balliensis), Rocchetta di Pietramelara, Vairano Patenora (Austicola), Presenzano (Rufrae). Sono in ogni modo presenti anche al di là del fiume: Alife (Allifae), e il territorio alifano (monte Cila, S. Potito Sannitico, S. Gregorio Matese, S. Angelo d’Alife, ecc.) Il loro sviluppo va verosivilmente attribuito alla valorizzazione dell’itinerario naturale della valle del Volturno.13

 

   Il Tagliamonte continua il suo discorso con riferimento ai reperti rinvenuti in tutta l’area, per vederne una complessiva omogeneità. Tra le località citate, non si fa cenno di quella fortificata di Castello del Matese, tutt’una, verosimilmente, con il monte Cila, come appresso dirò, né dei resti delle cuspidi e della testa di Venere a S. Gregorio, che ignora pure il Salmon. Omissione non volontaria: insufficiente bibliografia.

  Ma le attente considerazioni e descrizioni di Salmon e di Tagliamonte sono utili a dare suggerimenti per la conoscenza delle probabili località abitative sannitiche, tra le quali, per il discorso che interessa, può essere riconosciuta sia la collocazione di Alife a Castello, sia la esistenza di un abitato a nord-est del passo che ora è detto S. Croce, quale luogo di raccolta delle famiglie dei pastori. I quali avevano modo di incontrarsi con gli abitanti, ora Molisani, insediati nel Nord-Est del Massiccio del Matese, nella omonima piana del Lago, ed anche lungo la strada che univa Alife a Boiano, per la consuetudine di rapporti commerciali mai interrotta, contermini quali erano e sono dei ricchi pascoli, in comune e contesi.  

   L’osservazione a quell’opinione, non certezza di luogo abitato, si può completare osservando che alcuna necropoli è stata mai rinvenuta, o si rinviene, in luogo lontano da dove un gruppo più o meno numeroso di famiglie vi si era raccolto, o vi si raccoglie, con stabili abitazioni. Fino agli ultimi cimiteri di guerra, tutti sono stati apprestati presso città o paesi. Eppoi, le sepolture a S. Croce, qualcuno le dovette pure sistemare, e non certo chi abitava lontano dai luoghi degli scontri o di un eccidio. Si sa: in urbe neve urito neve sepelito, e la proibizione vale non solamente per i Romani; vale anche per l’antica necropoli dell’Alife osca14 che è posta in sito ben separato dall’abitato. Anche la necropoli di S. Croce non è lontana da quell’abitato di cui è Voce, come sopra annoto. E poi, quel villaggio, non potremo mai sapere se non abbia seguito la sorte degli altri distrutti dai Romani, come Livio ricorda, quando scrive aliusque ager adventu consulum longe lateque est pervastatus15, e se successivamente sia stato ricostruito là o altrove: la popolazione, secondo che la necessità costringeva, aveva certamente trovato scampo su per quegli stessi monti che abitava, per ritornare a ricostruire capanne di pietre e di zolle di terra, che non lasciano tracce, allorché vengono abbandonate.

   Giuseppe Verrecchia si avvale per i suoi studi anche delle notizie che legge dai lavori di D. B. Marrocco, le quali gli suggeriscono di constatare sui luoghi la corrispondenza alla realtà delle intuizioni che la mente gli detta durante la lettura e la scrittura di Pagine non chiare di Tito Livio. Egli non si allontana, per quanto riguarda l’argomento di cui si discorre, da quel che ne scrive lo storico citato: ne riporta la notizia, e vi si trattiene, ma ampliando il discorso e ragionando, come detto, con la conoscenza dei luoghi, per esporre l’inedita ipotesi (prima con un prudente “probabilmente”), della ubicazione di Cluvia a S. Gregorio. La quale proposizione è seguita da una “Avvertenza”, aggiunta a complemento della precedente, espressa come segue:

 

   Si può dunque concludere, senza tema di errore che tutto il territorio in declivio di  S. Gregorio e Castello,  nei tempi di cui ci  occupiamo, costituiva una specie di campo trincerato, di cui uno degli avamposti si trovava proprio al  passo S. Croce, dove caddero i combattenti ivi sepolti.

   I Romani avevano ocupato tutta quella zona, perché lì solo essi trovavano le migliori condizioni topografiche, stratigrafiche, logistiche e climatiche atte a chiudere il passaggio dei nemici e impedire che dilagassero in pianura. All’atto pratico le condizioni logistiche vennero a mancare solo per l’andamento sfavorevole della guerra, e la guarnigione romana, abbandonata al suo destino,  fu costretta ad arrendersi per fame.

  Il  nome Cluvia, dunque, va dato a Castello d’Alife, e comprende anche tutto il territorio con la sella di S.Gregorio: il tutto costituiva un formidabile avamposto utile non poco all’avanzata dei Romani verso Boiano dei Pentri o alla vigile difesa della  romanità ormai ben radicata nella sottostante pianura.16 

 

  Ipotesi suggestiva, che D. B. Marrocco (o. c. p.153) non accoglie né rigetta, annotando:

 

  E’ possibile che Castello possa identificarsi con Cluvia sannitica, ed è possibile pure che sia più antica di Piedimonte, in basso. Ma è inutile tornare a una protostoria nebulosa.

 

   Per la ipotesi del Verrecchia, si osserva: se Castello e S. Gregorio fossero un unico territorio cluviano, quali e dove sarebbero state poste le opere di difesa di Alife? Dove effettivamente Alife era posta?  Sul Cila. Dove? Sulla vetta priva d’acqua? Sulle prime cinte delle mura poligonali? Oppure Alife era quell’abitato che da sempre è stato un fortilizio e che da epoca molto antica è stato poi riconosciuto col toponimo Castello, sia per le antiche opere di difesa, sia per le torri medioevali che in seguito lo hanno solo ornato? Là, già antecedentemente al 326 a. C., c’era, e può ancora riconoscersi, la fortezza avanzata a difesa della via per il Massiccio del Matese. La prima caduta di Alife con Rufrio e Callife è di quell’anno. Quale maggiore difesa Alife avrebbe potuto opporre se posta ai piedi del Cila? La via per Boiano non parte da monte Cila , ma dalle falde basse dell’attuale Castello, da dove si procede, verso l’alto, a Passo S. Croce e oltre. Legittimi interrogativi che vanno posti, insieme alla costatazione, di fatto, che tutte le località sannitiche, e non solo, sono tutte poste, nei pressi di pianure, ma su cime di colline anche di natura rocciosa, utili alla difesa, e di monti oltre i sei, settecento metri di altitudine, come innanzi abbiamo letto in Salmon e come possiamo vedere dalle foto aere di altre vette dell’area volturnense, operate da Nicolino Lombardi17 nei suoi voli con il deltaplano e da altre riprese aerofotogrammetriche. Chi non è del luogo, può farsene idea, leggendo soprattutto quel che di Castello dice ed illustra il Russo dal punto di vista militare e strategico, come ricorderemo.

   L’ubicazione che il Verrechia fa di Cluvia, richiama l’articolo di F. S. Cocchiaro, del 1971, Buonalbergo e l’antica Cluvia. Nel quale, egli fa cenno alla ipotesi del Verrecchia e a cinque altre, di cui la sesta è quella che sostiene e argomenta, pur essa verosimile, anche se è ben noto che spesso ricorrono, in altre aree, toponimi simili, talvolta identici, tutti derivati da stessa diffusa radice, che si danno per le identiche località con simili caratteristiche geografiche-abitative, quali l’altitudine, la natura del terreno, i corsi d’acqua,…come Torrevecchia,Torano, etc. 18

  F. S. Cocchiaro così scrive:

 

    Gli studiosi, interpretando le testimonianze storico-archeologiche, sono giunti a risultati contrastanti, tanto che essi annoverano ben sei Cluvie:

 

1) Cluvia Pentra nel Molise,  presso Bovianum Vetus, l’attuale Pietrabbondante (Mommsen);

2) Cluvia Caracena,  nella regione caracena (De Sanctis);

3) Cluvia Alifana, sul versante meridionale del Matese, l’attuale S.  Gregorio  Matese (Verrecchia);

4) Cluvia Frentana, in Abruzzo, presso Lanciano (Guarini, Carabba,…);

5) Cluvia Irpina,  nell’avellinese,  presso l’attuale Melito (Pecori);

6) Cluvia Sannitica, su Montechiuvi, l’attuale Buonalbergo (Cluverio, Meomartini, Pais, Gnolfo,…).

  

   Il Cocchiaro ritiene che “l’ultima ipotesi è la più attendibile” e per la “ tradizione toponomastica” - scrive lo Gnolfo - (Cluvia = Chiuvi), oggi corretta e italianizzata (Montechiodi) e perché il “testo liviano e la toponomastica” corrispondono ai “vari luoghi limitrofi”. Segue la ricostruzione storica delle pagine liviane secondo il suo assunto, corrispondente a quello degli storici citati. La quale chiude con:

 

L’agguato- come sostiene lo Gnolfo- “avvenne in quella che ancora oggi il popolo chiama - bbada acjdri - (valle degli uccelli): traduzione esatta del saltum avium liviano18   

 

Come che sia, tanta disparità di opinioni è simile a quella della notissima rivendicazione da parte di ben sette città elleniche - Atene, Argo, Chio, Colofone, Rodi, Salamina e Smirne - di aver dato i natali a Omero. Sei Cluviae sono un pò troppe.

    Flavio Russo riporta ampiamente quanto scrivono e D. B. Marrocco e il Verrecchia, sposandone i convincimenti, anche quello, del Verrecchia, che attribuisce alle popolazioni sabello-sabine, partite dalle località poste a nord-est del Matese, la prima utilizzazione dei pascoli del Matese, e la conseguente diffusione della pastorizia anche nella parte meridionale campana del Massiccio, così scrivendo:

 

Resisi  padroni degli altipiani di Boiano e Sepino,  ascesero sulle dorsali…e di lì poi discesero, e sempre per  ragioni di pascolo,  giù per il versante meridionale del massiccio: ivi si erano stanziate, annualmente spostandosi in avanti nel territorio delimitato dal medio Volturno e del Calore inferiore…E ai piedi della parete meridionale del Matese erano sorte Allifae  (la moneta antica  riporta la epigrafe ALIPHA) , Callifae,… 19

 

Ma la presenza dell’uomo sul Massiccio è antica, quanto e più della popolazione osca nella Valle del Volturno e, nell’uno e nell’altro versante, di quella sannita-pentra. L’antico abitatore non poteva non vedere nelle vaste valli e sui monti del Tifernus, così ricchi di selve, di acque e di prati, quel luogo da sempre adatto all’esercizio della pastorizia, attività, poi, primordiale per ottenere sicurezza di prodotti per la sopravvivenza. Per i monti e per le vette si trovano qui e là reperti litici, e recinti di pietre, che attestano la presenza antichissima di luoghi abitati. Le foto aeree sopra ricordate del Lombardi e quelle che D. Caiazza inserisce nei propri lavori di protostoria e di storia, e le raccolte museali di manufatti litici portano a simile convincimento.

Il Russo non si limita a sviluppare il suo discorso storico-militare con gli elementi e le ipotesi che trova, compresa la localizzazione di Cluvia: fa attenta “perlustrazione” dei luoghi, di cui offre al lettore ottime illustrazioni, molte dell’I.G.M.I. e ricostruisce tipologie di fortificazioni e di posizionamento dei combattenti. Avrebbe egli scritto, penso, altro ancora, se avesse conosciuto, con discorso e interesse più pertinenti, della quantità notevole di tombe venute alla luce nell’anno ricordato del rimboschimento, nel quale la necropoli viene scoperta e dispersa.

Nel suo lavoro il Russo procede con oculatezza militare osservando, raccogliendo, riassumendo e commentando. Egli, al racconto storico, fa precedere il discorso tecnico che quello arricchisce e rende più comprensibile.Tanta precisione è di giovamento, in ogni caso, anche a quello studioso che non accetti la collocazione di Cluvia a Castello.

A completare l’argomento su Cluviae, mi sembra utile e doveroso ricordare la pagina che F. Corelli e A. La Regina dedicano alla città che presenta per gli storici “il difficile problema della localizzazione”. I quali non ignorano quanto se n’è scritto, ma devono essere attenti, come sono, alla lettura della documentazione che si aggiunge a quella già nota. Essi scrivono:

 

   La città di Cluviae, appartenente.al piccolo popolo sannita dei Carricini, doveva  trovarsi in una  posizione compresa tra i Pentri e i Frentani,  nell’ambito della tribù  romana Arnensis. Ne ritroviamo il primo ricordo in Livio (IX, 31, 2-3), quando nel corso della seconda guerra sannitica, il centro, evidentemente fortificato, fu teatro di una strage della guarnigione romana, ripagata immediatamente con la stessa moneta dai Romani, che, rioccupata la piazzaforte, massacrarono tutta la popolazione pubere. Sappiamo che divenne municipio dopo la guerra sociale, come si deduce da un’ iscrizione che ricorda un C. Attio Crescente, che fu edile  ad  Anxanum  e quattuorviro a Cluviae (CIL  IX  9)….La recente scoperta  presso S. Salvo di  una iscrizione su lastra bronzea, che ricorda  un decreto di  patronato del  senato di Cluviae,  datato 5 maggio 384, in favore di Aurelio Evagrio Onorio (evidentementa conservato nella villa di questi) ha riproposto il difficile problema della localizzazione della città… Un’altra iscrizione trovata  di  recente  a Uisernia  menziona i Cluvienses carracini.20

    

     Anche G. Alessio e M. De Giovanni collocano Cluviae nel territorio dei Carricini.21  

   I reperti, l’iscrizione che A. La Regina riporta, hanno un loro messaggio che non può essere ignorato, perché arricchisce la conoscenza storica.

    Ritorna il quesito: dove era collocata Alife?

    Sembra a me che si possa concordare con il Nissen e con il Salmon che fa altrettanto, giudicando né prudente né logisticamente difendibile un abitato nella pianura o alle basse falde d’un monte.

    Si sa che la via più breve da e per Boiano (come tutti convengono), partendo dalla capitale Pentra, sul versante nord orientale del Matese, sia quella che è così descritta dal Ruta, di cui Paolo Nuvoli riporta il ragionamento definitivo:

 

  Avendo perlustrato i luoghi, individua un tragitto viario che partendo da Sepino e seguendo il tratturo che esce da porta Boiano, si giunge al bivio di Guardiaregia che porta su per i monti del  Matese ad Alife e Caiazzo. Di questa città, come in altri luoghi della Tabula, viena data l’indicazione nel gomito di strada tra Sepinum ed Ebutiana: ad Lefas ed il sottostante Caiaitie non sono nomi mansiones, ma secondo noi sarebbero segnalazione di una strada importante, che metteva e mette tuttora in comunicazione il Molise con la Campania, a cui il compilatore della Tabula non poteva non accennare senza però riuscire a disegnare il tracciato.22

 

Anche questo può essere un altro argomento valido a riconoscere la Alife Sannitica a Castello. Dal versante sud orientale si conferma il sopra detto percorso, che mai s’è interrotto: lo ritroviamo, ad esempio, leggendo come i Cistercensi, dal sec. XIII al XVI ed oltre, attraverso il Massiccio, comunicavano e curavano i loro beni nel Molise coprendo il percorso Piedimonte - S. Gregorio- Matese (grangia di S. Maria, presso la Sorgente - Acqua di S. Maria-, che ne conserva il nome) Passo del Perrone - Guardiaregia.23

Dalla pianura alifana del medio Volturno, si può ammirare l’ampia cerchia montuosa del Massiccio. Lungo la falda centrale montuosa che si lega alla zona pianeggiante, fa mostra di sé il monte Cila. Accanto, in senso longitudinale, quasi sullo stesso meridiano, non meno panoramici, si vedono il borgo S. Giovanni, probabilmente l’antico e primitivo nucleo abitato di Piedimonte, Castello a metà percorso e, a quasi uguale distanza, S. Gregorio con la Serra S. Croce.

Con lo sguardo alla montagna, l’osservatore, in posizione centrale, vede elevarsi il già detto Monte Cila, posto tra due valli, Paterno e Rivo, questa più scoscesa e quasi inaccessibile. Una terza valle, del Torano, e quella del Rivo proteggono, per le asperità che le caratterizzano, la parte montuosa alla cui sommità, si pone Castello. S. Gregorio, che, secondo la Voce, al tempo delle lotte sannitiche era posto al nord della Serra, ora si vede col Passo S. Croce stendersi su buona parte della necropoli, pendio tutto ben visibile e macchia di abeti. Si può pure vedere, in limpida giornata, il percorso, sia quello antico mulattiero sul dorso montano, sia quello rotabile statale costruito molti secoli dopo sui fianchi, dalla piana del Volturno a quella del Biferno. Si riguardi la foto aerea di S. Gregorio, dalla quale è possibile conoscere i tratturi montani da e per il Matese. ---Foto de Cist.---

  Ancora un altro sguardo ai luoghi, penso che possa essere aggiunto, senza uscire dall’argomento. 

  L’abitato di Castello del Matese, che giace in zona collinare, a circa m. 470 s/m, in parte ancora rocciosa, ma che si giova di una non breve fertile area pianeggiante, come sottolinea il Russo,24 (descrive contemporaneamente le altre piane del Matese), merita altra sottolineatura, sia per la posizione, che chi del luogo vede bene, se presta attenzione, e, chi vi si rechi, subito ne riconosce la sua specificità. Ognuno è attratto dalle due monumentali torri, ma vede accanto ai resti, non pochi che si conservano, mura megalitiche, anche se non imponenti per le manomissioni nel corso dei secoli, quali quelle per la costruzione delle stesse torri. Le mura megalitiche, sono la testimonianza che ci segue per dirci che quel luogo era una fortezza già prima delle guerre sannitiche. A questa descrizione dei luoghi e del luogo, aggiungo che, sulla fronte sud dell’abitato, oltre il protettivo declivio montuoso ch’è percorso da antichissima ma agevole mulattiera, presso l’ultimo tratto, prima di immettersi nell’abitato, là, Castello ha le sue difese, mai individuate, perciò mai descritte (argomento dell’articolo che in evidenza sopra premetto, per l’interesse che ha anche in relazione a queste note). Esse completano le difese, quelle a tutti note, poste a Nord: le une e le altre si integrano e  si completano con le mura di difesa poligonali del monte Cila, in una unica visione strategica.

   La mancata conoscenza di questa serie di mura poligonali, non solamente ha indotto a dare a Monte Cila, per la presenza visibilissima, così bene in vista, una funzione strategica e difensiva di primaria importanza, ma ha privato il luogo veramente fortificato, in ogni senso, della sua specificità e della sua importanza. La conoscenza delle altre notevolissime e interessantissime mura megalitiche in quel luogo e l’osservazione fattane con l’amico Peppino, una prima e una seconda volta, mentre ero intento a riconsiderare e ad aggiungere altro a quanto già detto nel mio saggio su S. Gregorio con l’aggiunta di opinioni su Castello e sul Monte Cila, mi sembra diano conferma alle mie ipotesi e rafforzano anche quella di riconoscere l’Alife sannita sul media montagna di Castello: non lontano dalla vasta pianura volturnense, a sud, né a nord-ovest da altrettanta, fertile e pressoché pianeggiante, ma non molto estesa.                                                                                         

  Le mura poligonali, a sud e a nord, sono le difese costruite a completamento di quelle che la natura pone ai lati della caratteristica zolla montana, che si leva con ai lati i due profondi, inaccessibili valloni, del Rivo e del Torano, sopra descritti. Tutto sta ad indicare e a far riconoscere in Castello uno di quei luoghi che Livio definisce altus ac munitus, e che in seguito, il toponimo castrum che si porta da antica data, insieme a fortilicium nelle carte documentarie, fa chiaro sulla sua peculiare natura costitutiva.

Da sempre il luogo è un’opera di difesa costruita dalla natura, che l’uomo ha utilizzato per la propria sicurezza, aggiungendo sue opere poderose. Anche quando, allo stesso fine, in quell’età che solamente per la cronologia chiamiamo Medioevo, sono state costruite, intorno al borgo, altra cinta muraria e le torri, dove accogliere la popolazione, anche quella superstite della pianura, per la sopravvivenza, al tempo delle scorrerie saracine. Se si considera ancora, contemporanea o immediatamente successiva, la costruzione delle mura con le torri, sullo spartiacque a partire dalla vicina Valle Orsara fino alla località Cerquitola di S.Gregorio, dove scelsero di insediarsi, agli inizi del primo ventennio del sec. XIII, i Cistercensi di santa Maria della Ferrara di Vairano, poco fa ricordati, sembra convincente dedurne quanto quei siti siano stati usati per difesa in ogni tempo calamitoso e violento.

La posizione e soprattutto i resti, anche i più recenti, che si portano all’attenzione degli studiosi, dovrebbero stimolare quanto meno a una rilettura delle due località montane, ancora più attenta di quanta fino ad ora gliene sia stata  prestata.

    Mi sono trattenuto sull’argomento, e perché nel citato catalogo di M. Nassa, dove ricorrono quasi tutte le località dell’Alifano, anche di alcune esterne a quest’area, una sola è totalmente taciuta: Castello del Matese; e perché, per primo, H. Nilsen, proprio guardando dalla piana Alifana, nelle pagine che dedica al Sannio, sente di poter scrivere:

 

Questa notevole città romana (Alife) è situata in pianura (110 s/m.) a tre Km dal Volturno sulla riva sinistra: presumibilmente la città sannitica ha cercato una copertura naturale ed ha occupato, 4 km sopra, luogo di Castello d’Alife, dove si apre l’accesso che conduce all’interno della montagna del Matese e dove si trova presso Piedimonte la Necropoli  osca dell’odierno capoluogo.25

 

   E lo storico Nilsen raramente è citato, neppure per dire, se non si condivide il suo vedere, di scarso valore storico od altro. A me sembra invece ipotesi da bene considerare, e, perciò ho citato il passo per chi vorrà leggerlo, anche solo per conoscerlo. E di tale parere, H. Nilsen non è solo.

  Anche il Salmon colloca Alife a Castello e pensa ad altre località abitate collegate dal

 

    più antico percorso montano di cui si abbia notizia nell’Italia Meridionale, che attraversava l’impervio massiccio del Matese.26

 

   Lo storico, ho già detto, facendo riferimento al tempo delle lotte sannitiche, la voce Allifae la rinvia a Castello e viceversa, intendendo chiaramente la collocazione suddetta. Opinione che  sembra  non privilegiare come luogo di scontri e di battaglie il monte Cila. Pur egli, probabimente, ha ritenuto il monte non idoneo a scontri risolutivi, soprattutto perché i Sanniti avrebbero dovuto preferire combattimenti in luoghi adatti contemporaneamente ad agguati, propri dei luoghi montuosi e a scontri in corte vallate, là agendo in modo di attrarre il nemico; i Romani, invece, in luoghi pianeggianti. Molto però successivamente sarebbe dipeso anche dall’ addestramento, come mostrano gli esiti degli scontri, alla fine favorevoli ai Romani.

   La visita, nel marzo di quest’anno 2000, alla “Mostra Italia dei Sanniti”, al Museo Nazinale Romano, mi fa aggiungere quest’altra nota che ben si collega con le precedenti. L’interessante Tavola cartografica esposta alla lettura del visitatore, quasi al termine del percorso storico tra tombe reperti e ricostruzioni, dà complessivamete, la visione geografica di tutto il territorio occupato dalle genti sannitiche con la particolarità della indicazione dei siti fortificati in area sannitica. Ebbene, in quella tavola, elaborata da S. P. Oekley, 1995, dei siti fortificati nell’area alifana, è indicato  Castello, ieri d’Alife, appellativo storico, oggi Matese, quello oronimico, per la promozione turistica del montagna.

    L’argomento riporta, naturalmente, a quello della necropoli. La conquista di Alife-Castello non dovette essere incruenta, protetta com’era da luogo fortificato, e la popolazione posta al riparo sul  vicino monte Cila, fornito di altrettante antiche e robuste mura megalitiche. Non si può pensare che la lotta si sia ridotta solamente alla prima balza di Alife, senza toccare la seconda più aspra, quella del passo che porta a Boiano: la sella di S. Croce, dove nelle vicinanze era, forse, insediato altro abitato. E’ da quello scontro nella primavera estate del 326 a.C. che la prima volta si pongono nelle tombe del declivio i primi caduti? Si può pensare a un inizio di luogo cimiteriale, con probabiltà, non con certezza. Livio (VIII,25), dopo aver ricordato i tria oppida che vennero in potere dei Romani, aggiunge aliusque ager primu adventu consulum longe lateque est pervastatus. E’ questo l’alius ager che il Romano devasta, costringendo alla fuga per i monti del Matese le popolazioni, ad iniziare da Venafro passando poi per Alife e poi per Callife, e nel quale comprendere anche l’ignoto abitato su quel monte?

   Con in pugno le armi, i primi morti sull’avamposto di Castello e al Passo S. Croce, non furono solamente i combattenti Pentri, che quei monti abitavano, ma anche Frentani e Carricini, e, forse Caudini e Irpini, che insieme lottavano a difesa dei loro monti e terre.

   L’occupazione del Sannio Pentro e di Boiano nel 326 venne interrotta, come si sa, nel 321 con la disfatta inflitta ai Romani  alle gole di Caudio, cui seguì, col trattato di pace, un periodo di tregua,                          

che s’interruppe negli anni successivi con gli attacchi dei Romani nelle zone dei confini del Sannio e con scontri nelle zone interne. Nelle quali, dei combattenti, i più numerosi devono essere i Pentri della nostra contrada e di quella del Molise, con esclusione di quelli della fascia costiera per un’ampiezza verso l’interno di circa 25-30 chilometri, e che si estendeva anche oltre i suoi confini in Abruzzo, su un tratto della valle del Sangro (Opi, Alfedena, Castel di Sangro, Rocca Cinquemiglia) e, verso sud, come detto all’inizio, sul versante campano del Matese fino al Volturno. Così, il territorio pentro è delimitato da Adriano La Regina27. Il quale in quello pone l’entità politica denominata Samnites (Pentri, senza però accettare la ricostruzione moderna, Pentria, diffusa localmente, perché errata e antistorica), mentre, nelle altre nominate, abitano i  (Samnites)  Frentani. Tutto il territorio molisano col matesino volturnense, per lo storico, è quello che va distinto col nome Samnites, e che, dallo spartiacque dei monti del Matese, ha in comune tutto il versante nord.

    E non vi è solamente contiguità prevalentemene orografica, ma comuni sono i caratteri culturali e linguistici, come si può vedere dagli studi glottologici, quali, quelli dell’Alessi insieme con De Giovanni 28, e di altri studiosi; e simili sono e le tombe e i reperti. La necropoli di S. Gregorio alla Serra di S. Croce non è dissimile da quelle nel Molise, quali le tombe ad Afedena, per l’usanza delle tumulazioni: “…avevano forma triangolare con muretti laterali di pietre a secco ed erano chiuse con lastroni di petra grezza”29 e per gli altri resti, soprattutto le armi, in esse rinvenute e nelle aree circostanti come a Boiano, a Pietrabbondante e nelle altre note località Sannitiche. Tanto si può vedere dalla documentazione con cui si illustrano gli studi sui Sanniti Pentri e Frentani, tra cui l’Introduzione del D’Agostino e lo studio di A. La Regina, raccolti nel ricco volume curato dalla Soprintendenza Archeologica e per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici del Molise. Perciò da questo testo traggo riproduzioni che valgano a un opportuno confronto tra gli uni e gli altri reperti, sia le cuspidi sia l’uso della tumulazione, per il quale non può, purtroppo, che valere la memoria che nettamente ne conservo.  Solamente la buona sorte di rinvenire qualche altra residua tomba, potrà dare modo di fotografare, di raccogliere reperti e frammenti,  di studiarli attentamente, per fare meno uso della memoria.

   Ma la prova che le poche cuspidi residue della necropoli di S. Gregorio sono simili a quelle ritrovate in altri luoghi del territorio molisano matesino, versanti opposti, ed altrettanto, per memoria,  le tombe, fa ritenere identica la datazione delle necropoli al periodo delle guerre sannitiche, o nella seconda, 326 - 304 o, più verosimilmente nella terza , 298 -290, per completare il dominio di tutto il Sannio. Nell’area alifana non può essere mancato, successivamente, qualche scontro tra le forze di Fabio Massimo, al quale, la fortezza di Castello aveva suggerito di accamparsi super Allifas loco alto ac munito29, e quelle di Annibale, accampate nella pianura presso i piedi dei monti, o per insidiarle o per contrastare eventuali razzie di bestiame ordinate dal generale punico per approvvigionare di viveri, durante la sosta, il proprio esercito. Tali scontri, però, non erano tali da giustificare una necropoli così vasta.

 

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1 - Gli storici G. V. Ciarlanti, Memorie Storiche del Sannio, Nella Tipografia di Onofrio Nuzzi, Campobasso, 1823; G.   Trutta, Dissertazioni Istoriche delle Antichità Alifane, Nella Stamperia Simoniana, Napoli, 1776; A. Di Meo, Annali Critico diplomatici del Regno di Napoli,1795; G. Mennone, Riassunto Storico dell’Antico Sannio, Piedimonte d’Alife; M. Perrotti,  Note Storiche su Piedimonte e limitrofi, Piedimonte d’Alife, 1886, non fanno parola della necropoli. - Lo stradario antico ed attuale di S. Gregorio s’apre con Via Cimitero che, suppongo, ne ricorda vagamente la esistenza.  

2 -U. Caso,  n. a S. Gregorio Matese il 1905  m.1985, sindaco dal 1971 al 1975.

3 –D. Loffreda, …et ecclesia S.Gregorii in Matese, Loffredo editore, Napoli, 1994, Cap-II, p, 21.

4 –D. Loffreda, ib., cap. I,  p. 13 e segg.

5 –M. Nassa, Catalogo del Museo Alifano, Parte I, Quaderno n°23, A.S.M.V., Piedimonte Matese, 1998,  pp 32 e 35.                    

6 – G. Boiano (S.Gregorio, 1927 –1999) autore della raccolta di versi Pane e Violette, Tip. Ausiliatrix,  Benevento, 1994. e di articoli  vari di storia  sulle riviste Samnium  di Benevento e sugli Annuari dell’ASMV di Piedimonte Matese.

7 – P. de Lellis, da S.  Gregorio, Direttore Didattico, interessato alla storia locale.

8 – R. Marrocco,  Memorie Storiche di Piedimonte d’Alife, Piedimonte d’Alife, 1926.Cataloga i reperti.

9 – D. B. Marrocco, L’Antica Alife,  Piedimonte d’Alife, Tip: Moderna A. Grillo e Figli, 1951,  pp. 32, 33.

10 – A. Maiuri,  Notizie degli scavi di antichità , Napoli, 1929.

11 – D. B. Marrocco, Piedimonte Matese, Edizioni A. S. M. V.. Piedimonte Matese, 1999, p. 157 e segg.

 

12 – E. T. Salmon, o. c. p. 56

13 - G.Tagliamonte, I Sanniti - Caudini, Irpini, Pentri, Carricini, Frentani - , Longanesi e C. , Milano,1996, p. 70 e segg.

14 - G. Dressel,  La necropoili d’Alife,  Roma, 1885.

15 – T. Livio, VIII, 9-11.

16 - G. Verrecchia,  in o. c. ,  p. 209.

17 - N. Lombardi, Le finestre sul Volturno, C D – Roma Production, di St. D’Allestro, Piedimonte Matese, 1996.

18 – G. Devoto, Gli antichi Italici, Vallecchi Editore, Firenze,1951,  p. 21.,

18 F. S. Cocchiaro,  Rassegna Storica dei Comuni, anno III,  Marzo - Giugno 1971,  pp. 146-149.

19 Fl. Russo, Dai Sanniti all’Esercito Italiano - La Regione Fortificata del Matese, Laterza, Bari, 1991, p. 72

20  -F.Corelli   A. La Regina, Abruzzo Molise, Laterza, Bari, 1984, pp.308-3 09.

21 - G. Alessi M. De Giovanni, Preistoria e protostoria dell’Abruzzo,  Editrice Itinerari, Lanciano, 1983, p. 100.

22 - P .Nuvoli, La Tabula Peutinger in Area Sannitica, Edizioni Vitmar, Venafro, 1998, pp.67-68

23 - D. Loffreda, Abbatia S. Mariae de Ferrara in Agro Vairano Notarii Antonii  Fra cisci de Pernutiis platea.1622-1623, Loffredo Editore, Napoli, 1999, p. 110.

24   S. De Caro A. Greco – Campania , Laterza, Bari, 1081, pp. 243.247; Fl. Russo,  o. c.  p. 16 e segg.

25 -H.Nissen, Italische landeschunde,Weimar, Berlin, 1883/ 1902, vol. I, Capitolo XIII, Samnium,p. 784 e segg.

26 - E. T. Salmon, o. c.,  p. 24 e segg.

27 – A. La Regina, Dalle guerre sannitiche alla romanizzazione, in Sannio Pentri e Frentani dal secVI al I  a.. C.,a cura della Sovrintendenza Archeologica e per i Beni Cultuirali Architettonici e Storici del Molise, Roma, 1980, pp. 29-30.

28 – G. Alessio M. De Giovanni, o. c.,   p. 107.

29 –B. D’Agostino,  Introduzione in Dalle guerre sannitiche… o. c., p p. 22, 23.