(di Domenico Loffreda)
T. Livio, in Ab
Urbe Condita, chiama Tifernus1
mons tutta la montagna che dall’VIII sec. d. C. chiamiamo Matese, e,
con lo stesso nome, le città che vi sorgevano, una sul fiume, Biferno,
l’altra sul monte, scomparse e di difficile, se non improbabile,
individuazione: possibile opinione ragionata, come alcune già note. Con Tifernus si indica, nella storia, anche
il fiume, oggi Biferno2. Ma,
prima, qualche varia notizia sul Massiccio.
Alla ricerca di uno studio glottologico sul toponimo
Matese, lessi e segnalai quello di G.
Alessio e M. De Giovanni, i quali dopo aver note sul il Biferno, il fiume che
nasce dal Massiccio, in rapporto con
Tiferno città del Sannio, riportano gli altri toponimi identici esistenti
in altre regioni, ed altri con lo stesso relitto lessicale ti, attinente con “acqua”, come in Tiffre,
torrente di Bitonto, semanticamente distinto dall’oronimico Tifata, monti presso Capua, ma
anch’essi già ricchi d’acque, e analizzano, con lo stesso criterio
linguistico, il toponimo Matese, che, rispetto al precedente, è relativamente
recente. Non sappiamo quando scompare Tiferno,
ma conosciamo quando, a meno che non compaia altro documento, si legge la prima
volta l’oronimo Matese: nel Chronicon Vultrurnese,3 con la bolla del papa Pasquale I,
dell’anno 819, nell’espressione locativa…et ecclesia Sancti
Gregorii in Matese e, nello stesso volume, nel Commemoratorium di fra Sabbatino sacerdote e monaco, dopo
l’anno 881 (a. 865, distruzione di S. Vincenzo al Volturno) il 10
ottobre, con…et ecclesia Sancti
Gregorii in Matese cum omnibus territoriis, medietas fuit Sancti Monasterii et
medietas episcopi Sancti Petri.
L’analisi glottologia del toponimo Tifernus fa considerare ai due esperti
studiosi, come detto, anche quello di Matese,
nel quale è rilevante la base oronimica mat
- met, “documentata toponomasticamente da Matinus mons (Lucan. IX, 85), Matina
cacumina (Hor., od. I 28, 3), litus
Matinum (Hor. Od. I 28, 3) con l’etnico Metinates ex Gargano (Plin. n.
h III 105)” e molti altri -
come “ ed omofono con Matese è
anche il calabr. lo Vallo di Matisi (XVII sec.) contrada di
Caccuri (RC), che richiama il personale Matisius
(C.I.L. II, 4970, 309) accanto a Maticius,
Matidius, Matienus, Matinius, Matius”
Dal testo di G. Alessi, già docente di glottologia
alla Università Federico II di Napoli, e di M. de Giovanni, docente alla
Università di Chieti, Il Dizionario di
Glottologia, della UTET di Torino, 1990, trae la nota linguistica sul
toponimo Matese. La ricerca degli studiosi,
ritengo, dà anche al toponimo della nostro Massiccio esattezza scientifica,
rispetto a quella d’una interpretazione che si richiama al Biondo (metà
secolo XV) il quale argomentava che dal locis
simili genere ipsi montani atque agrestes4
come Livio chiama gli antichi abitatori del Tifernus
mons, per corruzione parlata, sia venuto fuori prima un montesi, quindi Matese; altra proposizione
vorrebbe individuarne la radice nel nome della divinità italica Matuta,
presente anche nel territorio campano, ma, penso, per il differente valore, non
viene presa in considerazione negli studi di toponomastica.
Saggiamente, lo storico locale Raffaello Marrocco,
dopo aver riportato le varie soluzioni correnti, non quella ora detta sul
toponimo, annotava:
Del resto, pensando che numerosi nomi di luogo
rimangono ancora impenetrabili, lasciamo agli studiosi di toponomastica il
compito di risolvere la questione con più validi elementi di giudizio.5
Il nome è, di solito, la prima identificazione che
si cerca per la conoscenza di una persona , di un luogo, di una cosa, di
un’idea. La singolarità del nome, sia di quello che ci tramanda Livio sia
di quello che registrano i Benedettini di S. Vincenzo al Volturno, indefinito,
per molto tempo, quanto a derivazione, non è tale quanto a identificazione
geografica del Massiccio. Il quale costituisce una notevole e sorprendente
unitarietà morfologica e strutturale: sistema quasi unico del nostro pur ricco
sistema montuoso, già sottolineato da geografi, quali Giotto Dainelli e Carmelo
Colamonico. Alla montagna, una attenzione particolare è stata rivolta, anche
dai docenti universitari ora nominati, soprattutto dagli anni Cinquanta. Nel
1928, così ne scrive il professore Colamonico:6
Del Matese, situato com’è nella parte mediana
della penisola e, soprattutto, tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione
ferroviaria, se n’è generalmente ignorata l’esistenza…E poco
noto, infine è stato fino ad oggi…anche alle popolazioni ad esso più
vicine, a causa della ripidità delle sue fiancate e della inaccessibilità che
la montagna ha sempre avuto per le genti delle pianure circostanti…Le vie
carrozzabili…vengono richiamando l’attenzione di molti, ed esso si
viene liberando del velo di cui si avvolgeva sino a ieri.
E la via carrozzabile, in quell’anno, aveva
appena il solo tracciato fino a S. Gregorio.
Quanto alla unitarietà di cui accenno, il Professore
così vi si sofferma:
poche altre zone montagnose d’ Italia hanno
l’indipendenza fisica che ha il Matese: esso si può paragonare a un gran
pilastro che si erga nettamente con pendii ripidissimi su aree pianeggianti;
con erte fiancate, esso scende sulla larga pianura del Volturno; così sulla
piana del Calore; così scende sulle vallate del Tammaro e del Biferno ad est e
nord-est. E’ un pilastro compatto e unito, senza grandi intaccature e
senza ramificazioni.
E’ una limpida descrizione da scienziato ed
attentissimo osservatore che non si può tacere.
In anni a noi vicini, uno studio singolare e
particolare, molto ricco di notizie e di riferimenti, quanto mai interessante
ed utile a conoscere il Matese nei suoi vari aspetti, nel corso dei secoli,
specificatamente in quello militare, dai Sanniti al nostro esercito italiano (e
alla depopulatio di quello tedesco e
alla presenza di quelli alleati anglo-americani, nella seconda guerra mondiale)
è quello pubblicato dall’Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito,
composto con accurate ricerche da Flavio Russo, Dai Sanniti all’esercito italiano – La regione Fortificata del Matese, G.
Laterza e Figli, Bari 1991. E’ il testo che anche con le limpide
riproduzioni fotografiche delle mura megalitiche al monte Cila e a nord di
Castello del Matese, mi hanno guidato a riconoscere le altre a sud dello stesso
abitato e le altre ancora, accennate nel titolo, in altro luogo montuoso della
stessa area, che completano l’espressione l’indipendeza fisica
che ha il Matese usata da C. Colamonico, perché
quella montagna è stata, nei tempi, aspirazione a forte indipendenza contro i
Romani, dominio assoluto dei pastori e rifugio di briganti, perché no?, fino a
quando non sono state costruite strade che l’attraversano e, perciò meta
di turisti per goderne l’aria pura, la vista del lago nel quale si specchiano
i monti, e il fresco delle fitte faggete.
Questa riflessione che parte da una considerazione
culturale linguistica, non vuole avere la valenza di una descrizione fisica del
territorio, alla quale faccio cenno e ai cui studi, anche di studiosi locali,
gli interessati possono fare ricorso, ma quella di fornire qualche spunto
essenziale di natura antropica e storica, in brevi notazioni, per qualificare
meglio il Massiccio nella sua peculiarità, nel suo unicum di lunga civiltà silvo-pastorale ed agricola, per quel che
la montagna consente; e, in un altro unicum:
la pluriennale lotta, circa settanta anni, combattuta su questi monti, tra i
resistentissimi Sanniti Pentri, insieme con quelli Frentani, Caudini, Irpini ed
altre popolazioni sannitiche, contro i Romani.
Il Matese, dicono i reperti, anche se non numerosi,
sono testimonianza che la presenza dell’uomo, ossia
l’antropizzazione, si può retrodatare all’era preneolitica, se non
proprio al paleolitico. Solamente una lettura comparata di tutti gli oggetti
litici, quelli in pietra dirozzata e levigata, conservati nei musei
dell’area matesina, potrebbe meglio datare il fenomeno.
Nell’elenco degli oggetti già conservati al
Museo Alifano,6 ai primi sette numeri,
sono classificati sette resti litici, pugnali di selce, coltellino e punte di
freccia, di varia provenienza. Essi sono oggetto di studio di Claude Albore
Livadie e, anche ad essi, fa cenno D. Caiazza, quando scrive:
Nella località Pantani Fragneto di Prata si sono
rinvenuti materiali di epoca musteriana ed oggetti di industria di tipo
levallois sono strati raccolti a Mastrati. A Roccavecchia di Pratella si è
raccolto un raschiatoio di selce.7
Gli oggetti litici del Muso Alifano, rinvenuti
nell’area matesina, ancora in custodia del Museo Archeologico di Napoli,
sono, per lo più, provenienti da Piedimonte Matese, S. Potito, Ailano, Capriati
al Volturno, Alvignano, Valle Agricola, Pratella: sono rimasti quanti erano. Il
Livadie, ricordato in nota con il Caiazza, così ne scrisse e parlò:
A distanza di più di mezzo secolo, lo stato delle
nostre conoscenze su una regione di più di
Sono trascorsi altri anni. Degli studi sistematici
che lo studioso si augurava, non se ne è fatto nulla. Il suo, resta ancora uno
studio interessante e stimolante.
A quei reperti aggiungo la riproduzione fotografica
(foto n. 1) d’un reperto litico, un coltello raschiatoio in pietra
levigata, adatta all’impugnatura, trovato da ragazzi sulla montagna, per
caso, giocando. Piace a loro la forma, perciò, anche incapaci di leggerla, non
viene gettata via. Essa, portata a casa da mio nipote e capitatami tra mano, mi
lasciò piacevolmente sorpreso ed ammirato: è altra piccola, preziosa, e non
trascurabile testimonianza di insediamenti pastorali sul Matese.
Sono cenni che non ho voluto omettere, per
l’informazione, come, generalizzando, di dire che, la montagna, tutta di
natura carsica, con alternanza di monti e di valli, ad ogni quota, offre
sorgenti e luoghi che consentono, dappertutto, insediamenti pastorali - agricoli.
La ricchezza di boschi è altro elemento che agevola l’uso di quei luoghi
per le prime attività umane.
Per giungere a notizie storiche, si ricerca negli
scrittori antichi di cultura greca e romana, che si sono interessati alle
vicende dei popoli sanniti: in greco
saunìtai, in latino Samnites, i quali si riconoscono con i nomi di
Pentri, Caudini, Frentani, Irpini.. L’interesse dei matesini è volto
ai Pentri, la popolazione che abitava tutto il Massiccio, e allo storico, Tito
Livio, che delle vicende delle guerre sannitiche dà le notizie più ampie ed
attendibili. A lui attingono tutti gli storici, anche i linguisti, che vogliono
veder chiaro nelle pagine del Patavino. Interesse non venuto mai meno. Vi è
vitalità e vivacità di studio di quelle lontanissime vicende, tanto attira la
curiosità di conoscenza e di approfondimento. Anche il profano si sente
attratto: vuole vedere ed ascoltare e, perché no, anche leggere, se v’è
qualche novità, o per approfondire.
Chi legge questa nota, richiestami per qualche
notizia sul Matese, da porre in un sito internet, ha modo e strumenti, non qui, di conoscere
tutto quanto si è scritto sui Sanniti e si conserva nelle Biblioteche, da
quelle Centrali e Vaticana, alle Provinciali e Abbaziali e Conventuali e comunali,
molte dotate di strumenti mediali.
Per memoria, le date delle guerre Sannitiche, le
quali fanno molto noto il Massiccio, soprattutto nel mondo degli studi storici
antichi: I g. s. 343 –
La testimonianza più notevole di queste lotte si ha
anche, nell’area di cui chi scrive s’interessa, con la presenza, a
Serra di S. Croce a S. Gregorio, di una necropoli, della quale la prima notizia
si ha con la venuta alla luce di tombe con corredo militare sannitico, negli
anni Millenovecento venti, quando l’imprenditore Giuseppe Tucci lavora al
tracciato della via provinciale per il Matese.8
D. Marrocco9
ne dà così notizia:
sono venute alla luce gran numero di tombe con
corredo guerresco, manomesse dagli sterratori. Di quel corredo soltanto alcune
cuspidi di lance si potettero recuperare e conservare nel Museo di Piedimonte
Egli non fa cenno, forse ne ebbe non sufficiente
notizia, delle centinaia di tombe venute alla luce, successivamente,
nell’anno 1937, quando le autorità forestali e comunali, in attuazione
della politica che si promuoveva per i rimboschimenti, ne diedero corso a di
Serra S. Croce, e pensarono solamente a porre a dimora nei fossi tenere
piantine, non alla salvaguardia delle tombe, che venivano distrutte con tutti i
reperti.
Altra testimonianza, recentissima, a lungo pensata,
ricercata e, alla fine incontrata, è quella su cui, a conclusione di questo
scritto, rifletto.
1 Livio, Storia di Roma, IX,
44, e X, 14, 6, Bologna, 1968; G. Alessio M. de Giovanni, Preistoria e protostoria linguistica dell’Abruzzo, Lanciano, 1983, p.117, ss.; D. Loffreda,…et ecclesia
Sancti Gregorii in Matese, Napoli 1994, 166; e C. Battisti,
Sostrati e parastrati nell’Italia
preistorica, Firenze, 1959. Per lo studio del toponimo si citano ancora: G.
P. Pellegrini, Toponimo ed etnici nelle
lingue dell’Italia antica, Roma 1978; D. Silvestri, Etnici e toponimi di area osca: problemi di
stratigrafia e di storia toponomastica, Pisa 1985; A. La Regina, I Sanniti, Italia Omnium Terrarum Parens, 1989, p. 388; A. Manzo, Con T.Livio nella regione alifano-matesina
durante la seconda guerra sannitica, in Annuario
2 Livio, IX, XLIV, o. c.,
…Itaque ambo consules in Sammnium
missi. Cum diiversasas regiones,Tifernum (vicum) Postumius,Bovianum Minucius
petisset, Postumi prius ductu ad Tifernum pugnatum… La necropoli di
S. Gregorio, così vasta e con così numerose tombe, potrebbe essere stata
consacrata ai morti di quella battaglia che lo Storico racconta.
3 Chronicon Vulturnense vol. I, Roma, 1925,. 2849 e p. 37313, citazione, la prima, che è titolo alla
monografia sul mio paese, nella quale, come incipit,
la voce che S. Gregorio, in tempi
molto antichi, aveva sede nella contrada montana di Montorfano, eco lontana che
mi è stata di stimolo anche per questo studio di ricerca archeologica.
4 Livio, ib. IX, XIII, 18, o.c., 42.
5 R. Marrocco, Il Matese, Napoli, 1940, 19 ss.
6 C. Colamonico, Matese in Le vie
d’Italia, Torino 1928, 53 ss.
6 M. Nassa, Catalogo degli oggetti del Museo Alitano, Piedimonte
Matese, 1995, 32 ss.
7 D. Caiazza, (a cura di), Il territorio tra Matese e Volturno,
Castellammare di Stabia, 1997, 20 ss., e, citando, Claude Albore Livadie, Testimonianze preistoriche nel territorio alfano-matesino,
in Il territorio alifano, S.
Angelo d’Alife, 1987, 10 ss.
8 D. Loffreda, …et ecclesia Sancti Gregorii in Matese, o. c. , 21 ss. e, dello
stesso autore, Sannio Pentro Alitano, Napoli,
2001, 27 ss.
9 D. Marrocco, L’antica Alife, Piedimonte d’Alife 1951, 33.,