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Prefazione

Il Medio Volturno non è una finzione, è una realtà geografica che comincia là dove il fiume, sotto Isernia, s’immette in una lunga ed ampia vallata di circa 100 Km., ed arriva al Tifata presso Capua. È una valle di larghezza varia, che si presenta come una fascia in buona parte periferica di Terra di lavoro.

È un territorio geologicamente distinto, ben incassato fra i calcari del Matese e i tufi vulcanici che vanno da Roccamonfina, a Caiazzo, a Telese, e che si posa nel fondo su argille e sabbie del Pleistocene, e si riveste in superficie di quelle recenti dell’Olocene. Esse mostrano con esattezza il corso del fiume, deviato dal vulcano recente di Roccamonfina, e il fondo dell’enorme lago che occupava la zona, prima che le acque si aprissero la via sotto Alvignano, fra Composto e Compostella, e captassero il Calore.

Anche per l’economia il Medio Volturno si distingue sotto certi aspetti sia dall’alta valle in pieno Abruzzo, sia dalla ricca pianura di Terra di Lavoro.

Per la sua posizione marginale ha avuto anche storicamente una risonanza più modesta. I suoi piccoli centri storici: Allifae, Caiatia, Compulteria, Thelesia, Venafrum, cui si sono aggiunti Cerreto e Piedimonte, colla loro corona di villaggi, sono molto più circoscritti dei grossi centri campani: Capua Vetere, Capua, Caserta. E solo dalla fine del ‘500 – una volta cominciata l’ascesa economica di Piedimonte e poi quella di Cerreto – il valore economico della vallata è stato notato nel Reame di Napoli.

Di conseguenza, quando è nato lo Stato moderno, a fine ‘700, colla sua organizzazione e i suoi uffici, quando l’antico Giustizierato di Capua s’è chiamato Provincia d Caserta, tutta questa fascia periferica è stata logicamente ordinata in Distretto (1798), facente capo a quella di Piedimonte che, per attrezzatura economica, e perché centro di cultura, ne era ormai il centro. Vi appartennero 46 Comuni. Fuori ne rimasero pochi sulla destra del fiume, e dietro i Tifata.

Tutto ciò deve giustificare topograficamente e storicamente il lavoretto che presento. In questo opuscolo si compie un’indagine fra critica e turistica, per una regione dai ben definiti contorni, e con caratteri tipici anche nell’insediamento umano. Si fa un’indagine sull’arte nel Medio Volturno.

Quest’arte anticamente vi era stata ispirata dai Greci della costa tirrenica, poi da Roma imperiale, e dal ‘200 da Napoli. Napoli, divenuta capitale, cuore e cervello del Reame, colle sue scuole di architettura, pittura e scultura, e le sue arti minori, doveva essa sola, ispirare queste popolazioni e dar loro, anche se in manifestazioni minori, quanto sentimento fantasia, e capacità tecnica, sa creare il Meridione, e cioè la sua arte. Contribuirono il mecenatismo dei Gaetani a Piedimonte, dei Sanframondi e dei Carafa a Cerreto, dei Pandone e Caracciolo a Venafro, dei Sanseverino, Acquaviva e Capece a Caiazzo; giovò la gara a primeggiare fra le chiese e i conventi, e la ricchezza borghese accumulata.

Passiamo dunque rapidamente in rassegna lo svolgimento dell’arte in queste terre, inquadrandolo nella storia generale dell’arte, nell’influenza artistica della capitale, e corredando sì il giudizio estetico colla notizia storica, ma soffermandoci all’interpretazione concettuale, alla visione sentimentale dell’opera d’arte più che all’analisi della derivazione e delle influenze.

Sono cenni utili agli studiosi e ai turisti, e specialmente agli alunni dei nostri Istituti e Seminari e delle scuole rinnovate che, dalla conoscenza di quanto è bello, antico e pregevole nella loro terra, devono ricavare un altro elemento nello sviluppo della cultura e del gusto.

 

 

 

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DALLA PREISTORIA A ROMA

Nei 1500 Kmq. di territorio che esaminiamo, notevoli e numerose tracce di civiltà paleolitiche, e di forme di transizione al Neolitico, son venute fuori a Venafro, Ailano, Telese, Castelvenere, Cerreto, Guardia, Pietraroja, S. Lorenzo, il che fa pensare a vere officine nel Medio Volturno per il taglio della selce.

Della prima ondata di Italici venuti dal Nord, eneolitici, inumatori, è rimasto fra l’altro qualche interessante prodotto: il pugnale di Telese, in selce bionda, ora al Museo antropologico dell’Università di Napoli, e quello di Ailano al Museo di Piedimonte. Né alla stessa zona è rimasta estranea la civiltà delle palafitte, a Castelvenere.

Ma è colla seconda ondata di Italici verso il VII sec. a. C., che hanno origine i borghi fortificati della zona. Essi, fermando le popolazioni pastorali, causeranno il passaggio dalla pastorizia all’agricoltura, col conseguente aumento di civiltà. Sono riconosciuti finora gli abitati sul M. Cila di Piedimonte, del M. Acero e della spianata su Faicchio, di Venafro, di Letino, Caiazzo, Cerreto vecchia, Civita di Pietraroja, e pare a Rocca vecchia di Pratella. In alcuni le fortificaioni sono molto lunghe (circa 7 Km. per le cinque cinte del Cila, e 3 Km. per M. Acero). Le più complesse di tutte sono a Venafro, con mura massicce m. 2,50, esternamente di pietre poligonali, internamente di tufo, e con uno spazio intermedio riempito di sassi.

L’attività industriale dei Sanniti è testimoniata dalle terrecotte e dai bronzi delle tombe. Di figure «artistiche» restano: il vigoroso toro di Faicchio, e l’Artemis persica di Compulteria, entrambi al Museo di Piedimonte, e un punzone di ceramisti osci di Venafro, pezzi che mostrano il confluire nel Medio Volturno delle due civiltà: quella sannita dei monti e quella osca della Campania e del mare da cui venivano i Greci.

Quando gli abitati collinari sono abbandonati per la fertile e comoda pianura, - stiamo passando dal sesto al quinto secolo av. C. – si sviluppano villaggi agricoli. Roma li troverà durante le guerre sannitiche, ne latinizzerà il nome, che giungerà quasi immutato fino a noi. Nascono così sulla sinistra del fiume, insieme ad altri villaggi il cui nome è sparito, conglobato nei maggiori Aebutianum (Ailano?), Rufricum (Raviscanina?), Allifae, Faifolae o Fulfolae (Faicchio), Censenniae  (Veneri?), Thelesia, Melae (Melizzano?), e sulla destra Venafrum, Berianum (Vairano), Rufrae (Presenzano), Callicula (pr. Dragoni), Cubulteria (pr. Alvignano), Caiatia.

 

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Le pitture trovate nelle tombe pr. Alife manifestano in tono minore quel che in modo più sfolgorante già si attua nei centri campani, sotto l’influenza etrusca e greca. Nella necropoli alifana esplorata dal Dressel nel 1880-84, si trovano tre forme di sepoltura: a lastre di tufo, a tegoloni, e scavate nel terreno. Alcune erano internamente rivestite di stucco, e all’epoca degli scavi conservavano affreschi. L’imitazione di tombe campane è evidente.

 

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Dai sepolcri e da qualche stipe sacra (pr. S. Potito Sannitico) è venuto fuori materiale che mostra l’avanzato sviluppo dell’arte figulina già molto prima della conquista romana. Andiamo dal quinto al secondo secolo. Il tipo è vario ed espressivo. Si conserva al Museo di Piedimonte.

Nella prima foto si passa (da sinistra a destra) dalla figura appena sbozzata, arcaica, alla n. 3 di rudimentale imitazione greca, alle 2 e 4 di «Kourotrofi» (= mamme che allattano).

Nella seconda foto alla pagina seguente, l’imitazione greca è minore, e la razza osca di Terra di Lavoro appare nella sua floridezza piatta, «chiatta». La n. 2 e la n. 3 non sembrano locali, sono il tipo buffo campano; la n. 4 è invece sentimentale.

Nella terza foto sono tipi vivaci 5 e 6, e di solito tarchiati contadini osci 3 e 4. Inutile dire che c’è molto spazio di tempo, e perciò di perfezionamento di tecnica e gusto fra esse.

 

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I bronzi del Medio Volturno sono pochi finora. A parte qualcuno disperso come l’Artemis efesina di cui parla il Trutta, emerge per squisitezza di fattura il Corridore, ora al Museo Nazionale di Napoli, prodotto di arte campana, e che rimonta al quinto sec. Né sono da dimenticare vari bronzetti del museo di Piedimonte o conservati altrove. Il materiale delle tombe è poi abbondante.

 

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L’influenza della civiltà greca è dimostrata dalle monete, da imitazioni architettoniche, e soprattutto da vasellame. Un commercio assai sviluppato si svolgeva verso Neapolis  e Cumae  e forse Sinuessa, per vie o meglio per tramiti non conosciuti, ma che erano pressoché gli stessi dell’epoca romana e di oggi, nelle vallate fra Calvi e Teano, e in quella di confluenza fra Volturno e Calore.

Di grandi moli architettoniche d’ispirazione ellenica non si ha traccia, e così di splendide opere scultoree. Son tutti sintomi di economia grassa di «coltivatori diretti», diremmo oggi, non ancora di patrizi raffinati.

Le zecche locali ci dànno il loro prodotto, nel quale si avverte il respiro dell’arte greca, arte e tecnica messe a disposizione del richiedente fin dal IV secolo, probabilmente sul luogo stesso.

Della ceramica greca importata nel Medio Volturno, ne esce continuamente. Non è certo quella arcaica, ma in prevalenza del V – II sec. a. C. Il museo del Sannio di Benevento, quello di Piedimonte ed anche privati, conservano vasellame. Tutte le forme, tutte le grandezze sono rappresentate.

La conquista romana avvenuta colle guerre sannitiche (343-290) non provoca subito alcun mutamento. Più tardi, colle colonie militari, col travolgente fascino di Roma imperiale, colle strade che sulla destra e la sinistra del nostro fiume portano nei centri e nelle campagna stesse, gusti, stili, mode lontane, determina lentamente il mutamento.

 

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Venafrum, importante centro strategico, municipio romano senza voto, declassato nel 211 a prefettura, nel 90 ottiene il suffragio, ed è iscritto alla tribus Tromentina, ne 40 dai Triumviri ha la colonia di militari: Colonia Julia Augusta Venafrana. E si estende in pianura, ed ha terme ricche di statue presso una sorgente solfurea, un teatro di forme greche colla cavea del diametro di metri 50, un grande anfiteatro capace di 18.000 spettatori (l’ellisse è di m. 75x55), e un meraviglioso acquedotto lungo circa 30 Km. dalla sorgente del Volturno, curato da Augusto con apposito decreto. Ha propria moneta, e il commercio di olio e strumenti agricoli è favorito dalla traversa fra la via Latina e la Herculia. È visitata da Augusto e Traiano, e Cicerone vi fa costruire dall’architetto Chilone una sontuosa villa.

 

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Thelesia è altro centro strategico all’estremità opposta, è la città ercica che, unica nel Medio Volturno come già s’è opposta a Roma coi suoi nobili condottieri Pontii, ora si oppone ad Annibale. Ad essa, federata di Roma i Triumviri assegnano una Colonia Herculia. Ha suffragio, ed è iscritta alla Tribus Falerna. Onora principalmente Ercole, ed è amministrata da un Ordo Splendidissimus Thelesinorum. Oltre alla mura gloriose, lunghe Km. 2,5 con 4 porte, ebbe teatro, anfiteatro, e acquedotto e terme ricche di statue. Dette i natali a C. Pontio Telesino, l’uomo che umiliò i Romani alle Forche Caudine.

 

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Allifae, assai contesa fra Romani e Sanniti, punita per aver parteggiato per Annibale, dopo la guerra sociale ottiene il voto e l’iscrizione alla tribus Teretina e, dopo aver avuto una colonia (forse dai Triumviri), alla stessa epoca è rifatta di sana pianta a forma di accampamento, con cardine e decumano incrociantisi, e diviene una bella città con teatro, anfiteatro, un originale Criptoportico (lungo m. 101 e sorretto da 30 archi), sepolcri, e soprattutto col grandioso acquedotto del Torano lungo Km. 6, e il canale di deviazione del Torano. Un poderoso opus quadratum sostiene le quattro porte.

Ebbe floridi rapporti commerciali colla costa greca. «Les fouilles ont montré que la ville était très sensible au luxe del Héllènes, et ouverte également au commerce étrusque et à celui des Greces de la Campanie», dice Sambon. Sulle 120 lapidi accennano alla vita che vi si svolgeva.

 

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Caiatia, cittadina osca, dopo essere stata distrutta da Silla, e incorporata a Capua, diviene municipio, ed è iscritta alla tribus Teretina, e sotto l’Impero rifiorisce a nuova vita. Ha il Foro, detto di Marco Gavio (piazza Verdi), sotto cui è il cisternone pubblico, di m. 21x5, ha teatro ed anfiteatro e l’acquedotto. Un piccolo centro, dotato di tutto quanto la superiore civiltà di Roma diffonde nel mondo. 90 lapidi la riguardano. Ma la sua gloria maggiore ed imperitura sarà sempre l’aver dato i natali ad un personaggio storico di primo piano, Aulo Atilio Caiatino, console romano nel 254 a. C. L’anno dopo, vittorioso in operazioni della prima guerra punica, ottiene il trionfo, nel 254 è di nuovo console, e nel 249 dittatore! Come tanta carriera da parte di un provinciale del III sec. a. C., nella «repubblica» dei gelosi patrizi? L’unica spiegazione è nella superiore personalità.

 

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Compulteria non esiste più. Il suo ricordo affiora in 20 lapidi, nelle monete, e nei frammenti poderosi. La cinta muraria aveva quattro porte, e vi erano notevoli edifici pubblici. Risaltava in essa il tempio di Giunone. Non è da dimenticare la piccola Rufrae (Presenzano) cogli avanzi del teatro, né il fanum di Giano a Ruviano (con più esattezza Raiano = ara Iani).

 

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Tracce di strade, oltre che nei centri abitati (son sotto il livello stradale di metri 1,20 – 1,60 in media), si trovano qua e là. Tracce più lunghe sono sulla Allifae – Saepinum, la pista delle greggi sul Matese, a nord della Serra delle Giumente, presso Pretemorto. Il villaggio di transito da e per il Matese era a Piedimonte alta, vico alifano, con piccolo tempio (di Apollo?) e frammenti. Non mancano logicamente ponti sul Volturno. Se ne scorgono tracce presso Venafro (Latrone), fra Baia e S. Angelo detto dell’Inferno (Oliferno), fra Compulteria e l’attuale Gioia, detto degli Anici. Ma intatto è quello presso Faicchio sul torrente Titerno. È un ponte a due luci, quella maggiore a tutto sesto, colle arcate superiori rifatte nel I secolo dell’Impero, elevate su precedenti costruzioni, che si vedono sotto il pilone di sinistra, e sono opera poligonale sannitica. Prima aveva messo in comunicazione la sannitica Faifolae col villaggio del Monte Acero, e poi coi territori telesini.

 

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Nella campagna si trovano tombe e ruderi e resti di fattorie. Il Medio Volturno era intensamente popolato: celeberrimus ille tractu Venafranus Alliphanus, dice Cicerone. Ma sotto Sant’Angelo (località Grotte) s’impone all’attenzione un grandioso edificio romano di epoca imperiale. Era un gran complesso di costruzioni con elevata e spaziosa fronte architettonica, due vaste piscine, acquedotto proprio, ambienti con pavimento a mosaico. Qualche iscrizione mutila di magistrati fa pensare a costruzione pubblica, terme ecc., o si deve ricorrere all’alto patriziato romano, se non addirittura più in alto. Nel complesso di costruzioni, pressoché intatto è il criptoportico, della lunghezza totale di m. 194, 20, alto 5, e largo 3,80. È costruito secondo le regole dell’edilizia romana, con pavimento in battuto.

Per le dimensioni (segue solo l’anfiteatro di Capua Vetere) è monumento di prima importanza, muto testimone di grandezze architettoniche degne di Roma cesarea, e forse di avvenimenti politici.

Poi vengono i barbari dal Nord, e la splendida civiltà muore.

 

 

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DAL PALEOCRISTIANO AL ROMANICO

Il Cristianesimo è presente nel Medio Volturno fin dal II sec. colla passione a Roma de SS. sette fratelli e di Felicita loro madre, e più tardi col martirio a Venafro dei SS. Nicandro e Marciano, ufficiali della legione africana, «prefetti di coorte», e di Daria moglie del primo (17 giugno 302). Di conseguenza, subito dopo l’editto di Costantino del 313, nei centri si propagò la nuova fede, e si costruì la basilica, dove si potesse riunire la ecclesia, ad Alife, Compulteria, Telese e Venafro nel IV sec. non mancarono coemeteria, ma le sopraggiunte invasioni barbariche, colle distruzioni e l’abbandono delle vecchie sedi, ci hanno lasciato poche tracce del periodo fra il IV e il VII sec., almento per quanto se ne sa finora.

Unico e interessante monumento rimasto nel M.V. è S. Ferdinando di Alvignano, già S. Maria di Compulteria, l’antica città osca. Il nome di Alvignano deriva dalle terre di M. Aulo Albino prefetto della I coorte dei Breuci e patrono di Compulteria e Alife. La pianta della basilica è comune a quelle del V-VI sec. Manca di transetto, e l’abside, ampia e profonda, fa da sfondo alla navata, fiancheggiata da due navate laterali senza absidi. L’effetto è di spaziosità e di concentramento della visibilità sull’altare. Bellissime sono le transenne in alto sui finestroni, e belli i resti di mosaici venuti alla luce, in bianco e nero e colorati. Non vi è traccia di atrio e neanche di banchi, subsellia, per i sacerdoti e di cattedra per il vescovo, né di coro basso innanzi all’altare. Il lacunare mostra l’armatura del tetto. È costruzione strettamente essenziale, manifestante una fede teocentrica, che non vive di decorative distrazioni. Al tempo di Gregorio I già era senza vescovo. Pigliò il titolo attuale, dopo che il 27 giugno 1082 vi fu seppellito S. Ferrante d’Aragona, il principe pellegrino, poi vescovo di Caiazzo.

 

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Col breve dominio bizantino, coi sopravvenuti Longobardi, ma più colla fuga in Italia di monaci bizantini a causa degli Iconoclausti, si attestò anche nel M. V. un’arte se non diretta espressione bizantina, certo di riflessi e di gusti bizantineggianti.

Elementi architettonici mancano. Restano sculture lignee italiche che mostrano tracce tarde, influenze mediate. Così, S. Maria Assunta di Guardia (1011), S. Maria del Castagneto a Cusano Mutri, e S. Maria del Roseto a Solopaca, pur essendo di diretta fattura bizantina (come si dice), perché l’arte sacra ortodossa si serve di eicones = immagini, e non di eidola = statue, accennano a qualche influenza balcanica. Sono statue di eremi solitari, nascoste, poi ritrovate, molto venerate, in seguito mal restaurate e ingenuamente rivestite. La questione su di esse rimane aperta. Sicura appare la loro origine romanica, come per S. Maria della Neve in S. Salvatore a Piedimonte.

Di S. Maria della Strada a S. Lorenzo Maggiore, si può parlare con sicurezza di arte bizantina. Siamo di fronte alla icone della Panaghia Theotocos, la SS. Madre di Dio. È una tavola di 0,60 x 0,40, trovata nel sec. XI, e non va oltre l’ottavo secolo.

Costruzione di epoca longobarda sembra sia il tabernacolo nella profonda grotta di S. Michele fra S. Angelo e Raviscanina (lunga sui 100 m. fin giù, al punto di otturazione). Massiccia espressione di epoche ferree, ha sotto un altare e innanzi una balaustra ora invasi dal fango, e a destra tracce più recenti di affreschi. Quanta impressione doveva suscitare nei fedeli il servizio divino dell’8 maggio nell’imponente spelonca! Della stessa epoca è l’utilizzazione da parte da parte longobarda delle grotte per il culto all’Arcangelo manifestatosi l’8 maggio 491 sul M. Gargano. Sono a S. Angelo a Sasso presso Guardia Sanframondi, a S. Michele su Frasso Telesino, a S. Michele a Curti di Gioia, e a Profeti (S. Angelo) di Liberi. Per il IX-X secolo, solo qualche rudere rimane delle abbazie benedettine di S. Salvatore presso Telese (sec. X) che nel 1097 ospitò S. Anselmo d’Aosta; di S. Maria delle Grotte sul Calore presso Guardia (sec. X); di S. Salvatore a Piedimonte presso la Stazione (sec. VIII), e di S. Maria in Cingla, a Cégna presso Ailano (sec. VIII). Ma a proposito di questo celebre monastero cimeli degnissimi di stare in una guida di arte, sono due pergamene del 963, conservate a M. Cassino: un Memoratorio del 26 luglio, e un Placito dell’ottobre. Dopo la carte del giudice capuano del 960, essi sono i primi documenti della lingua italiana. La formula del giuramento prestato a Teano dal prete Giovanni e dai coloni del monastero ci ricorda dopo mille ani lo spontaneo linguaggio del nostro popolo, giustificato nel documento giuridico. Dice: «Kella terra per kelle fini ki bobe (che a voi) mostrai, Sancte Marie è, et trenta anni le posset parte Sancte Marie».

Ed eccoci all’anno Mille. Da subito dopo fin al ‘200, l’arte è romanica, nome che vuole alludere alla prevalenza in essa dell’antica arte romana con alcune modificazioni. Lo stile romanico prevale specie in architettura, e la chiesa ritorna alla forma dell’antica basilica. L’arco è decorato di simboli e di animali, la colonna non è scanalata, e manca di elementi classici. Verso la fine del periodo riappare in essa il capitello a calice di foglie.

Nell’Alife medioevale, gastaldato e poi contea normanna, la cattedrale era ungran monumento romanico, di chiara importazione francese, e perciò molto raro fra noi. Normanno era il conte Rainulfo III Drengot che la edificò negli anni 1135-38, e vi depositò molte relique di S. Sisto I papa, avute a Roma tre anni prima. Dalla ricostruzione ricaviamo la forte semplicità che aveva. Ricostruita dopo il 1688, di antico oggi conserva un portale sistemato nel battistero e qusi intatto il Soccorpo, ampio seminterrato cui si accede per due scale. Ci si trova fra tre intercolunni divisi da due file di sei colonne. Tre absidi si aprono al lato Sud, e innanzi a quella centrale due colonne sostengono le mensole della volta. Queste risultano di metà della colonna, e perciò appaiono pesanti, ma lo slancio austero verso l’alto tempera la pesantezza. I capitelli sono la più parte romanici, qualcuno classico, qualche altro bizantineggiante. È uno scenario raccolto, forte, disadorno, e il pensiero vola al guerriero piò ed audace che lo volle, tipico esponente del Medio Evo.

A Cusano Mutri la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo dal 1962 ritorna all’antico aspetto severo e slanciato benché, essendo le sovrapposizioni eccessive, sarà difficile tornare alla pura linea anteriore al ‘200. A Prata Sannita in San Francesco (1460) sono state utilizzate le Colonne di S. Agostino, antico chiostro benedettino, che si mescolano bene al complesso rinascimentale. Presso Vairano Patenora l’abbazia di S. Maria della Ferrara del 1171, visitata da Federico II nel 1223, mostra i suoi resti poderosi nell’abside della chiesa conventuale. Anche la Cattedrale di Caiazzo era romanica, ma non ha più niente. Romaniche sono in paese S. Pietro del Franco e la cappella del Castello, fondata dai Drengot.

Presso Caiazzo, l’abbazia di S. Croce al Monte Verna (sec. X), ha lasciato due vigorosi rilievi, un Crocifisso e una S. Scolastica oggi nella facciata della parrocchiale di Villa. Sono lavori che anticipano forme nuove. Si confronti questo Crocifisso di Villa con un oggetto rarissimo di oreficeria dell’epoca, e si vedrà l’epoca tarda del rilievo. In cattedrale, sempre a Caiazzo, si conserva la croce pettorale d’oro di S. Stefano Menicillo vescovo e patrono, morto il 29 ottobre 1023 dopo lunghissimo pontificato. È del secolo X, ha indubbie ispirazioni bizantine con particolari iconografici propri (è senza corona di spine, ha un chiodo per piede, grande aureola crociata, abbondante e non mosso panneggio), ma i ben rilevati muscoli, e soprattutto l’espressione d’immensa pietà tradiscono anche un influsso nordico, nonché la fede profonda dell’orafo.

La cattedrale di Venafro è altro esempio di sovrapposizione di stili. Essa, sorta sul tempio della dea Bona, deve risalire, colla chiesa di S. Nicandro al IV secolo, ma di ciò non vi sono tracce visibili. Colpisce invece la sua ricostruzione romanica nelle absidi posteriori e nel tiburio ottagonale. Più vistoso è il successivo rifacimento gotico, e quello del 1698. Cogli attuali restauri, difficili ed interminabili, sparirà molta sovrapposizione, e il tempio offrirà ai fedeli, raccoglimento, grandiosità, slancio, tre elementi che portano a Dio.

Ultimo romanico a sfumatura pugliese si avverte infine nel Portale di S. Nicola a Pietraroia.

A Cusano, in San Giovanni, il Reliquiario della S. Spina di Gesù Cristo, (portata da un crociato), non è certo del ‘300 come vien detto, ma di molto anteriore, almeno di due secoli.

La croce e le aperture trifogliate, la simmetria, e la semplicità del lavoro ce ne dicono la qualità di prezioso lavoro di oreficeria orientalizzante, senz’altro pre-gotico.

 

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IL GOTICO

È un vocabolo improprio ed arbitrario col quale il Vasari ed altri definirono l’arte non classicheggiante venuta dal Nord, e veramente dalla Francia. Ma lo scherno divenne titolo distintivo.

Dei tre periodi in cui si divide l’epoca dello stile ogivale, c’interessano il secondo e il terzo, quello del massimo splendore, e quello che attenua la rigidezza e allarga il sesto acuto a forme tanto tondeggianti da preludere al Rinascimento.

Il gotico esistente nel Medio Volturno è trecentesco, con appena qualche manifestazione anteriore, e con parecchio di ritardo al primo ‘400. È pure manifestazione modesta e provinciale, fatta qualche eccezione. Ma perché la sua vasta diffusione? Anzitutto, essendo più vicino a noi, s’è più conservato in numerosi esemplari, ma più importante è una certa «rinascita angioina», il rinnovamento artistico della capitale Napoli, dove dal 1268 risiedeva Casa Angiò, e la sua corte francese. Tutto ciò ha avuto una notevole ripercussione sulla provincia, sia pure in tono minore.

Anche nei piccoli edifici della zona sono evidenti i caratteri generali dello stile: lo slancio dell’altezza rispetto alla larghezza, la volta a crociera, i pilastri sostenenti i costoloni, la spinta della copertura.

 

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A Piana di Caiazzo, Santa Maria a Marciano, sotto una strana mescolanza di archi acuti e rotondi (questi furono aggiunti come sostegno alla volta a crociera), svela le volte ogivali. L’edificio ha una navata principale e una laterale a sinistra fino al transetto, e termina con tre absidi quadrangolari a crociera con costoloni sporgenti. Si entra per un alto portale a sesto molto acuto.

Per la scaletta a chiocciola del campanile trecentesco si sale sul solaio, dove fanno bella mostra due bifore, semplici, senza ghimberga, dalla lunetta a quadrilobi. Sotto la chiesa c’è l’ipogeo.

Stando alla tradizioni e a qualche resto, è edificio preesistente (vi si ferò Urbano II nel 1099), e nelle forme attuali è dovuto alla pietà di un cavaliere francese, nel 1303. La pittura vi ha lasciato tracce notevoli. Le pareti dei nostri piccoli edifici gotici non sono tali da consentire vetrate, perciò sono coperte da pitture a fresco. E sulle pareti rimangono affreschi di vivace realismo, mescolati con altri meno naturali, tali da manifestare solo una maniera, un tipo. A Piana son più vivaci e ritrattistiche le fisionomie dei santi, più stilizzate le Madonne. Quasi tutti mancano di movimento e le fisionomie si direbbero quasi tipi comuni. Del 1334 sono le pitture a destra dell’altare col trittico della Vergine, S. Caterina e la Maddalena; Stefano Caiaccianus, Tomaso e Bartolomeo Apostoli, il Battista, Antonio abate e Luca fra due Vescovi. Di fine ‘300, d’ispirazione benedettina, è sulla parete destra del transetto il Crocifisso e S. Benedetto. Due colonne romane sostengono il coro, una è miliare (VI), l’altra commemorativa.

A S. Angelo d’Alife, la cappella di S. Antonio abate fondata dai Beneintendis nel primo ‘400, racchiude notevoli pitture derivate dalla scuola di P. Cavallini, benché da alcuni si neghi tale derivazione. Chi ha dipinto qui, ha studiato a Roma forme di sapore classico mescolandole ad una struttura d’insieme gotica. La parete frontale, in alto, mostra il Transito di Maria in una forma iconografica rarissima: non è Cristo che riceve, è Maria stessa ad affidare agli Angeli la propria anima; in basso mostra l’Incoronazione. La parete destra presenta dal basso: Annunciazione; a destra Annunzio ai pastori; al centro la Natività (col particolare dell’ostetrica secondo il Protoevangelo di S. Giacomo); a sinistra c’è il Bagno di Cristo; nella zona inferiore l’Adorazione dei Magi (col motivo giottesco della cattedrale gotica dietro la Vergine). La parete sinistra ha una rappresentazione unica: l’Albero di Jesse (forse deriva dalla cappella di S. Lorenzo nel duomo di Napoli). È molto guasta. Sviluppa la genealogia del Redentore com’è in S. Matteso (I, 1-17). Sul tronco sono forti figure che fanno capo a Cristo, tre figure per ramo. La parete dell’entrata conserva scene della vita di S. Antonio abate con iscrizioni come: «Come Santu Antonio escìu de la cidada de Patras et andao a lo diserto».

La volta ha otto scompartimenti. In un piano superiore si alternano Padri ed Evangelisti. Sotto stanno figure simboliche. Le figure superiori sono in cattedra e sono interessanti per la storia del costume. Così si mostrano: Ambrogio e Fede, Giovanni Evangelista e Speranza, Agostino e Fortezza, Matteso e …, Girolamo e Temperanza, Marco e Prudenza, Gregorio e S. M. Ecclesia, al centro della volta è Cristo benedicente. Nella Natività e nell’Adorazione dei Magi le acconciature del primo ‘400 fanno la data, e quello fra i Magi che regge uno scettro, potrebbe essere il signore che ordinò il lavoro.

A Piedimonte tracce di architettura gotica sono in San Giovanni, in San Domenico, nella lunetta di S. Lucia ad montes, e nelle due cornici di finestre, oggi balconi, in Palazzo ducale. Sul Monte Muto, l’abside di Santa Maria Occorrevole (apertura e altezza m. 4,11, profondità m. 3) è del ‘300. Le figure vi sono divise in due piani. In basso, fra una corona di otto santi e madonne, si distingue S. Maria Occurribilis = che viene in soccorso, figura alta e non priva di maestà regale; in alto nel catino, s’impone il Redentore nel nimbo sostenuto da Angeli, indovinato proprio per un ampio e maestoso gesto. Se l’abside è stata “ritrovata” nel 1437, preesisteva, e coi suoi caratteri molto anteriori, afferma che in Piedimonte nell’ultimo ‘300, ci fu una vera rinascita, dovuta essenzialmente alla signora Sveva Sanseverino Gaetani, pronipote di San Tommaso, cui si devono tutti i lavori già detti.

Gioiello dell’ultimo gotico è San Biagio, cappella sotto le mura dell’antico borgo, risultante di due piccole campate. Fu eretta dagli Jacobucci nel primo ‘400, sebbene le pitture sembrino di poco posteriori. Divenne poi oratorio di un piccolo ospedale per forestieri e pellegrini, passò infine ai Cenci. Il portale e le dimensioni (lungh. m. 9, largh. 4,80, alt. 5) mostrano l’influenza del gotico flamboyant. Le pitture nella volta ricordano: Avviso alla Vergine, Fuga in Egitto, Riposo in Egitto, Miracolo (pare dai Vangeli apocrifi). Nella 2° campata: Agnus Dei e Adamo ed Eva, Creazione di Eva, Ingresso nell’Eden. I medaglioni al centro raffigurano il Redentore e Mosé. Sulla parete frontale è accennata in carminio la sinopia di un tempio, e su quella sinistra si fa ammirare una Disputa dei Dottori, composizione deliziosa e complessa, per i vari piani di cui risulta, per la disposizione delle figure, assai naturali sia nell’ordine che nel movimento, sia per l’alternarsi di particolari d’ambiente esili e massicci, sia per l’espressione vivace del giovanissimo Maestro e dei Dottori stupiti. Così nelle scene bibliche della volta, quanto studio e quanta anima! E, come spesso accade, i personaggi secondari sono più riusciti. Quanta vita hanno il S. Giuseppe della Fuga, e gli uomini meravigliati nella scena del miracolo! Ricco di vita e di commozione è pure il martirio di San Biagio (parete destra). Molto riuscite sono le figure del giudice che addita la sentenza di morte, e di Agricolao il feroce persecutore dei cristiani di Armenia.

I quattro episodi della vita di Cristo bambino, ma più i quattro della Genesi, hanno nel concetto dell’artista (sembra proprio quello di S. Antonio Abate a Sant’Angelo!) tre caratteri: uno descrittivo, assai vivace, uno paesistico ambientale (deliziosamente quattrocentesco), e un terzo simbolico: l’Agnello fra i due progenitori, due visioni nebulosamente lontane nella notte dei tempi, mentre su un roccia risalta, fissa e mansueta, l’innocente personificazione del Redentore.

Rilievo gotico è la pietra tombale di Pietro Braerio conte di Telese (già in San Salvatore, oggi al museo di Piedimonte) il precettore di Carlo Martello, l’amico di Dante. Interno gotico ha la cattedrale di Venafro. Facciata trecentesca ha S. Maria di Prata Vecchia, e del primo ‘200 se non prima, è l’edicola di Malgerio Sorello conte di Mignano presso la Ferrara di Vairano. Il piccolo ambiente ha forti cordonature ricadenti su mensole e in un angolo c’è l’affresco dalle figure ricche di pensiero. Sono la Vergine fra gli Apostoli Pietro e Paolo e nel piano inferiore molto rovinata la scena dei funerali di Malgerio. Intorno al cadavere due teorie di cistercensi accennano ad una anticipazione giottesca.

A Caiazzo, San Francesco (che ricorda la venuta del santo) conserva la sacrestia, presbiterio e chiostro del ‘300; a Pietravairano c’è il dipinto della Vergine nella cripta di S. Maria della Vigna; e a Torcino i resti di affreschi e di ogive nel castello. È questo il quadro del gotico nel Medio Volturno.

Al gotico possiamo allacciare i trenta castelli del Medio Volturno. Quasi tutti preesistevano ma, dopo i diroccamenti ordinati da Federico II, vennero ricostruiti dalla fine del ‘200.

Ve ne sono di due tipi: uno, il più antico, ha al centro il mastio, poderoso torrione rotondo o quadrato, che serviva di abitazione e cittadella, e come estremo e più sicuro rifugio e difesa. Ha perciò un’entrata in alto, e speso i diversi piano sono completamente separati l’uno dagli altri. Il castello a recinto, con torri cilindriche ai 4 angoli, è più recente e divenne più comune e, data la vita che vi si svolgeva, più ampio è comodo.

Collocati sopra dossi di monti e colline isolate, acquistano anche un carattere pittoresco, e spesso si armonizzano felicemente col paesaggio. Non mancano nel Medio Volturno torrioni isolati, come quello dei Pandone a Valle Agricola, del primo ‘400, e quelle misteriose di Màrafi.

Più che castello era una vera fortezza la rocca di S. Angelo-Raviscanina. Nella rovinosa forma attuale risale ai Normanni, ai Drengot, che ne fecero la roccaforte della loro contea di Alife. E infatti, chiusi in essa, Riccardo e poi Andrea di Rupecanina provocarono per anni la pazienza di Re Ruggero II. Una cinta muraria con torri mezzotonde e torrioni a baluardo, attravero due entrate, c’introduce nell’interno, in cui può star benissimo un villaggio. Vi si attestano due cappelle con tracce di affreschi (S. Lucia e S. Maria), e un gran serbatoio di acqua. Il mastio è tuttora imponente, e quanot più doveva apparir vigile gigante sull’ampia vallata ottocento anni or sono. L’interno aveva vari piani.

Anche la collina di Letino è caratterizzata da una fortezza. Il paesino (anticamente Thino, cui l’aticolo lu è ora parte integrante) è abitato da pastori di origine greca (mentre a soli 3 Km., Gallo, nata da immigrati nel IX secolo, mostra qualità somatiche balcanico-bulgare). S’è spostato tre volte, fermandosi sotto l’abitato neolitico che è ora il catello-cimitero. La rocca quadrangolare, lunga sui 90 metri e larga fino a 39, è circondata da un bastione con cinque torri. Pare facesse parte di un servizio di segnalazione notturna con Roccamonfina ed altre fortezze.

Angolo cadente e minuscolo di Medio Evo è i Borgo medioevale di Prata Sannita. Non si tratta di casette addossate ad un castello. Qui c’è una cinta muraria. Gli spuntoni della roccia sostengono cortine di mura con rare feritoie. Costituiscono per la poliorcetica, strutture di difesa piombante, benché presso Porta S. Giovanni, una rientranza accenni anche a difesa fiancheggiante. Il castello in alto ha una scarpata che nella sua parte fabbricata doveva esser mobile, per isolar la fortezza dal borgo.

Storicamente importante è il grande castello di Caiazzo, residenza dei Drengot, e visitato da Federico II. Passò sotto i Sanseverino, i Corsi, e ora è dei De Angelis. È vasto e poderoso. La «torre mastra», pur dimezzata, domina dall’alto minacciosamente il ridente paesaggio.

Bel prodotto gotico di oreficeria è a Venafro il reliquiario del patrono S. Nicandro, cui recentemente fu aggiunto il Tabernacolo. Fu ordinato dal vescovo Giovanni de Tocco, ed eseguito dal maestro Barbato di Sulmona nel 1340. È lavoro a sbalzo schietto ed essenziale, di tarda derivazione francese.

 

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