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MONTE EREMONIO, LA VALLE OMONIMA E QUELLA DI S. NICANDRO, PRATICAMENTE L’ATTUALE VALLE AGRICOLA, LUOGHI DI CULTURA E FEDE.

 

di Luigi Cimino

La Storia dell’umanità sembra non coinvolgere luoghi che apparentemente appaiono sperduti e perciò senza alcuna possibilità di partecipare agli avvenimenti generali né comunque in grado di interferire in qualche modo con essi. Così può pensarsi della zona del Matese e più in particolare dei luoghi oggi identificati dai Comuni di Ailano, Prata  Sannita, e con essa Valle Agricola, eppure  la loro storia,  ricca di molteplici sfaccettature, non soltanto è fortemente radicata con gli eventi di ampio respiro nella storia dei popoli, ma ancor più ha influito finanche nella determinazione di essi, tanto che si impone uno studio approfondito e nuovo dei vari aspetti storiografici che li hanno interessati.

Perciò dedicherò questo mio studio ad un periodo, il Medioevo, che si colloca nel 476 cioè nell'anno che vide la deposizione dell'ultimo imperatore romano Romolo Augusto e, con essa, la fine dell'Impero romano d'Occidente,  in cui sembra che i nostri sobborghi, contrariamente  a quello che si è ritenuto finora,  abbiano inciso notevolmente nelle vicende storiche e particolarmente del monachesimo, tanto da individuare una intera zona con nomi significativi come “Eremonio” e fino al punto da far pensare che l’intera valle dell’odierna Valle Agricola, fino al 1089   fosse identificata  da una parte con “… fine serra de monte qui dicitur Eremonio”  o con “Eremonio mons” e dall’altra parte con i termini “ Valle dell’Eremonio” e “Valle di San Nicandro”.[1]

Il Medioevo in realtà non ebbe inizio con una data, anche se convenzionalmente è il 476, ma si avviò nell'arco di tre secoli, dal IV al VII; il periodo successivo alla deposizione dell'ultimo imperatore non si risolse, come è convinzione diffusa, nella fine di una civiltà, ma nella sua fusione con quella di altre popolazioni. I regni romano-barbarici in tutta l'Europa occidentale venivano via via riconosciuti da Bisanzio, dall'unico imperatore rimasto, il quale non era interessato al governo sostanziale di quell'area ormai impoverita e decentata che era l'Occidente, ma gli era sufficiente che i nuovi re si sottomettessero formalmente al suo comando, in cambio della legittimazione. Fecero così i regni dei visigoti, degli ostrogoti, degli eruli, ecc.

Un'eccezione fu il regno dei Franchi, che con la dinastia dei Merovingi, fu il primo a riconoscere l'autorità, invece che del basileus bizantino, del papato romano, che in quell'epoca stava cercando di far valere il suo primato sulle altre Chiese in base proprio al primato di san Pietro tra gli apostoli. Il regno dei Franchi fu quindi il "figlio primogenito della Chiesa romana", ed al suo esempio si adeguarono gradualmente anche altri stati romano barbarici, come quello anglosassone o quello longobardo.

Poi vi furono le crociate, una serie di campagne militari, bandite e avallate dal papato, che si svolsero dall'XI al XIII secolo, prima come tentativi da parte della Chiesa Cattolica Romana di riconquistare la Terra Santa ai Musulmani. Alcune vennero dirette contro altri Cristiani, come la quarta crociata contro Costantinopoli e la crociata albigense contro i Catari della Francia Meridionale.

Però sia dopo la scomparsa dell’Impero romano che durante la conquista dei singoli stati da parte di invasori ed anche nel corso della crociate e forse proprio per le alterne vicende politiche e religiose iniziò a prosperare anche in occidente quello  che era iniziato ben prima in oriente, il monachesimo.

Esso affonda le sue radici nelle lontane terre d'Egitto e di Palestina, dove nel IV secolo nacquero i primi grandi insediamenti monastici seguendo gli insegnamenti delle Regole redatte da San Pacomio e San Basilio. La visita di insigni maestri come Sant'Atanasio e San Girolamo nella nostra penisola, dove peraltro esistevano già alcune forme di vita ascetica, determinò il diffondersi di una coscienza monastica più definita che trovò la sua massima sintetizzazione nella Regola di San Benedetto da Norcia (480-547). In essa vengono enunciati i concetti ed i principi che stanno alla base della creazione di una comunità autonoma composta da monaci al cui vertice è l'Abate, figura prestigiosa dispensatrice dell'insegnamento di Cristo: il modello monastico proposto dalla Regola si diffuse in poco tempo in tutta Europa segnando l'inizio del monachesimo occidentale. Tra i tanti meriti che ha avuto il monachesimo v’è quello della salvaguardia della cultura. La cultura non era, a dire il vero, scomparsa neppure nei secoli più travagliati. Prima con i monasteri cluniacensi, poi con quelli cistercensi, la cultura era stata gelosamente custodita dai monaci e dalle diocesi della Chiesa. A sfatare la diceria illuminista di un Medioevo come età oscura e oscurantista c'è da ricordare che i monasteri medievali (oltre alle università più tardi) si impegnarono a custodire il sapere di ogni tipo, dalla letteratura pagana (classici greci e latini) ai testi arabi di filosofia, matematica e medicina. È anche grazie alla lungimiranza dei medievali che sono potuti fiorire i secoli dell'età moderna.

L' invasione longobarda del 568 fu portatrice di distruzione alla quale andarono soggette moltissime fondazioni monastiche, tra cui anche Montecassino (577), monastero storico fondato dallo stesso San Benedetto. La lenta opera di conversione dei dominatori germanici, iniziata nel VII secolo da San Colombano, fondatore del monastero di Bobbio in Liguria, dette origine ad un fenomeno di rinascita che vide gli stessi sovrani e signori longobardi promuovere nuove fondazioni monastiche e ricostruire quelle distrutte, prodigandosi in donazioni e concessioni ed instaurando una sorta di simbiosi tra spirito religioso e potere politico-economico destinata a segnare profondamente la storia dell'alto Medioevo: risorse così il prestigioso monastero di Montecassino (717), dove divenne Monaco il re longobardo Rachi, e si deve a tale fenomeno la nascita di potentissimi centri monastici, tra cui quello di Farfa in Sabina, i cui domini territoriali si espandevano nel Lazio e nelle Marche. La rinascita culturale dell'epoca carolingia, alla quale i monasteri parteciparono intensificando la preziosa attività amanuense (di vitale importanza per la conservazione degli antichi scritti), fu seguita da un periodo di decadenza delle istituzioni religiose, sempre più caratterizzate da una forte compenetrazione con il sistema feudale. La fondazione dell'Abbazia di Cluny in Francia (910) segnò l'inizio della riforma del monachesimo europeo, poiché dette vita ad un modello di organismo religioso accentrato ed unitario che ben presto venne adottato da numerosi monasteri. L'XI secolo fu contraddistinto dal risorgere di alcuni aspetti del paleomonachesimo del deserto e dal rilancio della vita eremitica contrapposta a quella cenobitica, considerata ormai troppo compromessa e distante dagli insegnamenti del padre fondatore: la povertà, il lavoro manuale, la solitudine ed il radicalismo evangelico furono gli elementi su cui si basò la fondazione di nuovi ordini monastici riformati in tutto l'occidente.

Tra i monasteri benedettini non più esistenti, S. Maria in Cingla nella valle del Volturno, ha lasciato gran nome di sé nell’archivio di Monte Cassino, nei repertori e regesti settecenteschi, nelle storie ecclesiastiche e locali.[2]

Esso sorse in tenimento di Ailano “ubi dicitur Ailane”, “in loco qui dicitur Cingla”, sotto la custodia del venerabile presbitero Pietro, con varie dipendenze dipendenti tutte dall’Abbazia di Montecassino e,perciò, anche di quella parte “ubi dicitur Eremania”. Insomma il Monastero di S.Maria in Cingla sorse per volere dei Longobardi nel luogo “che si dice Cingla”[3] ed era esclusivamente per “puellae” cioè donne, fanciulle. I suoi possedimenti  con i confini sono ben descritti in “Historia abbatiae Cassinensis”[4]: “De prima parte fine terra de monte, qui dicitur Eremonio i de seconda parte fine flubio , qui dicitur Ete ; de tercia parte fine flubio Bulturno, de quarta parte fine Rivo, qui dicitur Сегvarum , deinde quomodo badit per montes, et balles usque in praedicta Serra de monte , qui dicitur Eremonio , quae est prior fine”

Alla sede Beneventana che fu di Gisulfo appartenne la Vigna del Casale di Ailano, citata dal 752, rinominato nel 783 in quanto il Casale Ailane appartiene alla Corte di S.Stefano in Prata, sita dopo la Chiesa di San Giovanni in Prata Sannita, già fondata nel 769; che sembra differire dalla Vigna di Prata in Villa que vocatur Ailane dello stesso 769, venduta al presbitero Aldulo, lo stesso della pergamena del 764 della Vigna in loco Prata: tutti beni divenuti di proprietà del futuro Pontifex seduto a Caminata di Alife rinvenute in un rotulo a Montecassino.

Fra il 981 e il 985, scoppia la lite tra il Pontifex Vito e il monastero di Cingla, perchè viene citato a testimoniare Paulus episcopus di Alife, stando ai tre giudicati di Pandolfo Principe di Benevento, e alla epistola papae Gregorii V ad Alfanum. Il Pontifex è in S.Arcangelo della Sede Alifana quando annette la vicina S. Giovanni in Prata Sannita[5].

Nei documenti successivi del 1020 c’è anche una contesa fra il Pontifex della Cattedrale di S.Maria di Alife, nos Vitus Domini gratia pontifex episcopatus sancte Dei genitricis et virginis Marie, sancte sedis Aliphane, e il monastero delle monache di Capua. Ma è inutile. Tutti i beni dell’ex sede di Teano appartengono alle monache di Capua: Yserniensi fine flubio qui dicitur Saba, et ab inde sicut incipit et vadit... per terras quae nun nostri Palatii pertinent, usque in ribu qui Pentemusu dicitur, et ab inde vadit per pedes de ipso Morretellu usque in praedicto flubio Ete. Il privilegio del 1033 emanato a Capua confermerà che i beni del monastero di Cingla in Teano fossero stati annessi a S.Maria delle monache in Capua.                             

E’ giusto dire che, nella realtà, di Prata Sannita si parla in maniera esplicita solo con la nascita dei castelli, cioè dopo la venuta del Pontifex in Alife e l’insediamento regio di Landolfo in Capua nel 991.

Nell’anno 1024,  a 33 anni dall’insediamento in Capua del governo di Landolfo e a 9 anni da quello del figlio Pandolfo, in presenza ufficiale del giudice Mundo del Castello di Alife, allorquando il Pontifex alifano Vito, cioè domini gratia Pontifex episcopatus S.Dei Genitricis et Virginis Sanctae Sedis Aliphanae e il suo diacono Giovanni, avvocato dello ‘strano’ vescovo, si oppongono alla richiesta di Pietro, preposito e custode di Santa Maria in Cingla, il quale, in nome della badessa Sichelgaita accusa il Pontifex di aver violato i confini, confutando la sua giustificazione che quei beni fossero della Mensa vescovile.
Infatti il Pontifex Vito insiste e, a sua difesa, adduce ad una precedente causa, già vinta, presentando come prova 23 scritture, 1 bolla e 2 precetti sigillati. Il tentativo del Pontifex è quello di riorganizzare il patrimonio dell’area alifana intorno alla sede di San Giovanni Battista in Prata. Si ha quindi la certezza, leggendo quelle carte del 1024, dei beni: la Chiesa di S.Giovanni Battista fosse presso il fiume l’Ete; beni privati di Vico Bonelle[6] presso Prata, la Curte di Ortale a Vico Bonelle venduta a San Giovanni, la vigna di Arnaiscio in Prata, il terreno di Prata a Cesa Molina, la vigna di Prata sita in villa quae vocatur Ailane, terreno e vigna di Pietro Transpadano a Vico Bonelle, tutta la proprietà di Aredo data a San Giovanni di Prata, i memoratori precedenti dove si cita Falcone di Prata al quale era stato affidato in uso unum molinum nostrum sul fiume Ete, i terreni lavorati da Reczo, vigne e terre in Ailano vendute all’abate Deusdedit da Ansera Moscanfarda, facendosi forza sui confini, rimasti inalterati, a lui confermati dal metropolita di Benevento ai tempi che era Diacono: da una parte il flubio Albente, Tora, Arcus, Pilas, flubio Bulturnum, dall’altra il Montis qui Esere dicitur, Serras, Montem qui Gallus dicitur, fabrica Muri mortui, flubio Bulturnu.[7]

Anche Dante Marrocco s’è interessato al Monastero di S.Maria in Cingla[8], affermando testualmente: “In territorio di Ailano c’è “serra de monte qui dicitur Eremonio”, e dev’essere il monte Cimogna,[9] si parla del “ribu cerbaru” ed è il torrente Cervaro, ma si stenta a ritrovare “vicu Bonelle” (pronunzia Vunnéllu). Torcino, Mastrati e S. Arcangelo sono gli stessi, Piedimonte è “ad Pede de monte sive petra cupa”, e Sepicciano è scritto Sepeczanu, e cz si pronuncia cci. Prata è detta “locu prata” Raviscanina è rupis canina, e S. Angelo vi apparteneva “S. Angeli de Rupiscaninae”.

La portata reale dei documenti medioevali richiamati è, più propriamente, la delimitazione dei confini dei beni appartenuti al Monastero di S.Maria in Cingla, e con esso a Monte Cassino. Perciò, come afferma Gambella: [10] “Molta parte dell’attuale territorio di Ailano, come si evince dalla lettura dei documenti citati e dei molti altri conservati nell’archivio dell’Abbazia di Montecassino, fu di pertinenza del sunnominato monastero di S. Maria in Cingla con cui, come predetto, sperimentò la furia dei Saraceni, ma anche la benevolenza dei principi longobardi.

Mentre, come rilevato, molte sono le citazioni documentarie di territori, non compare affatto, per quanto se ne sa, tra le pertinenze, dirette o indirette, di Montecassino il castrum Aylani nel senso proprio del termine, il che lascia credere che esso fu costruito per volontà di qualche nobile locale, nel periodo più funesto delle scorrerie saracene (prima del 915), il quale ne fu anche il primo amministratore”.

Nel secolo dal 900 al 1000, il monastero di Montecassino continuò ad arricchirsi grazie alle donazioni dei principi longobardi. [11]

 

Recentemente Domenico Chiazza [12] ha ricostruito documentalmente e documentatamene i luoghi di cui parlano i documenti medioevali.

“Non è difficile ricostruire sulle pagine IGM i confini indicati: la serra del Monte Eremonio è evidentemene il crinale di una montagna, antica sede di eremitaggi e sulla cui fiancata si perpetua il fitotoponimo: Stroppeta = sterpeto che indicava un possesso dell’ Abbazia. Questo crinale si congiungeva con la risorgenza dell’ Ete ubicata a monte della distrutta centrale idroelettrica di Prata. Deve dunque trattarsi dei crinali del Monte Ianara e dei monti Capello o Cappello, nomi che sembrano storpiature di ‘cappella’. La conferma viene da un atto del 1089 con il quale badessa Gemma concedeva in enfiteusi le terre coltivate ed incolte perché fossero coltivate e arate, seminate e mietute in cambio della nona parte dei frutti ipsas terras quas usque modus habuimus in ipsa balle, qua dicitur de Erimonio, et que dicitur balle Santi Nicandri, qua esse videtur in finibus iamdictae civitatis Allifis, infra pertinencia de jamdicto loco Prata”.[13]

La valle dell’Erimonio o di San Nicandro nel territorio di Prata è quella nel medioevo detta Valle di Prata e oggi Valle Agricola, ed infatti non lontano dal paese è la fontana di San Nicandro nei cui pressi emergono mattoni e rottami di muri che la tradizione attribuisce ad un convento.

Non lontana,poi, da Monte S.Silvestro (m.1083) è  Balle Fariperti, citata nel solito documento del vescovo Vito.Potrebbe essere la Valle per eccellenza, poi detta dell’ Eremonio e di ata, e oggi Valle Agricola.

Se l’ipotesi corrisponde al vero allora Fariperti sarà attributo distintivo mutuato da un antico capofamiglia o signore longobardo, poi smarritosi.

Se invece si suppone che Fariperti sia fusione di fara+pert o bert potrebbe coincidere con la località Valle Fara e Pozzo della Fara tra Ailano e Valle Agricola, che si sarebbe chiamata “Valle della Fara di Perto”. Questa è l’ipotesi preferibile.[14]

Dal Monte Cappello-Erimonio il confine correva dunque verso ovest sino a raggiungere la scaturigine dell’ Ete oggi impropriamente detto Lete, e ne segue il corso sino alla confluenza del Volturno, segue poi il flusso della corrente verso est sino alla confluenza del Rivo Cervaro. Questo è il torrente che corre poco ad ovest della località Quattro Venti per il quale si conserva ancora il toponimo Ponte Cervaro[15].

Dal Volturno seguendo il Cervaro il confine risale per monti e valli al monte Eremonio. Le valli, Balles, sono evidentemente quelle ad ovest della Fara che per Monte Botella menano a Valle Agricola, dove il confine tra Ailano e Raviscanina probabilmente continua quello antico.

Come evidenzia la tavola fuori testo è un territorio assai ampio equivalente a quello dell’ attuale comune di Ailano, della porzione in sinistra dell’ Ete-Lete del comune Prata, e dell’intero comune di Valle Agricola. Si tratta di grandi estensioni di bosco ma non mancano colli e pianure irrigue attorno al complesso monastico, suscettibili di colture orticole e cerealicole, e il resto è di dolci colline perfette per oliveti e frutteti e per il pascolo”.

Tale tesi non è nuova ma avvalorata anche da quanto sostiene Angelo Gambella[16]  che evidenzia che sui documenti superstiti di età normanna non si fa distinzione fra il territorio della città e quello

dello stato. Nel 1089,infatti, la badessa Gemma dava in enfiteusi [17]un terreno in valle Eremonio e un altro in valle S. Nicandro: i contraenti dovevano la quarta parte del prodotto al monastero; scriveva Andrea «in curte S. Mariae» con le sottoscrizioni di Iohannes diaconus et prepositus e di Iohannes iudex[18].

Gli atti successivi,invece,  testimoniano il passaggio della giurisdizione dalla badessa Gemma madre spirituale delle poche monache presenti in Cingla, all’abate di Montecassino, rappresentato sul posto da un “custode e preposito”.

 In un privilegio del conte Roberto, inoltre,  si citano due appezzamenti per terre site attorno a Prata, una in valle Eremonio e l’altra in valle S. Nicandro[19],  e si dice «in finibus civitatis Allifis infra pertinentia de loco Prata» e i protagonisti sono «toti habitatores de

finibus Allife loco Prata»[20]

Nell’agosto 1100 il monaco Dudone, custode e rettore di Cingla, alla presenza del vescovo Roberto, di Giovanni giudice di Alife, del barone Arnaldo di Buscione f. di Oddone e di Landolfo avvocato del monastero, si accordava con 21 abitanti di Prata su terreni del posto «in pertinenciis de prephata Prata in loco Strupeda, et loco Putalisci, et loco Cese Meroaldi, et in loco Gattucini, et loco Cese de Libertini, et in loco posta», divisi in nove parti di cui una soltanto al monastero; «actum Allifie loco Prata» dal notaio Giovanni. In questo periodo, la data non è precisata, Ruggero di Buscione confermava precedenti donazioni.

S. Maria in Cingla è confermata a Montecassino dai pontefici Callisto II (1122) ed Innocenzo II (1130-43), sulla bolla di quest’ultimo si legge: «monasterium S. Mariae in cinglis quod est

edificatum infra Alifanam parrochiam cum cellis castellis et pertinentis suis».

Il feudatario di Prata, Ugo figlio di Rainone, nel gennaio 1175 si accordava con Pietro abate di Montecassino; interessanti i termini: «ego et mei heredes taciti et quieti maneamus… de omnibus

condicionibus, redditibus, serviciis, adjutoriis, et de tenimentis ac possessionibus» delle chiese di S. Maria in Cingla, S. Nicandro e S. Stefano. Nel gennaio 1178 i proventi di Cingla venivano destinati al vestiario dei monaci. Sono note le conferme papali del marzo 1181 (Alessandro III), dell’aprile 1188 e del gennaio 1189 (Clemente III), e del dicembre 1224 (Onorio III). A cominciare dalla fine del XII secolo Santa Maria conoscerà un inesorabile e rapido declino.

Il necrologio di S. Maria di Capua edito da Michele Monaco nel 1630 riporta i nomi di 19 badesse nel periodo di Cingla e di 14 in quello di Capua a partire da Carda in carica dal 942. Per il periodo normanno le badesse sono Maria dal 1032, Orania dal 1074, Altruda dal 1079, Gemma dal 1088, Altruda dal 1103, Ageltruda dal 1106, Alferada dal 1113, Gemma dal 1124, Ata dal 1134 e Matthia dal 1167 al 1213, la trentatreesima ed ultima della lista.[21]

Dagli atti di Cingla siamo informati, afferma Caiazza,  di come un luogo alpestre e romito al punto di meritarsi il nome di Monte degli Eremiti (Monte Eremonio) sia diventato luogo di colonizzazione con la formula dell’enfiteusi. È questo l’atto di nascita dell’abitato di Valle Agricola,”medioevale”aggiungiamo noi,  dove le fonti ricordano anche una chiesa di San Benedetto oltre il convento di San Nicandro, un gualdo e boschi, oltre lo sterpeto. Fu così che ebbe inizio l’imponente opera di terrazzamento della valle che ancora si legge ancorchè negli ultimi decenni sommersa dal bosco.[22]

C’è tanto ancora da scoprire in questa Valle degli eremiti, c’è ancora da comprendere cosa la storia racchiuda effettivamente nelle valli solitarie  di quel che furono i possedimenti del Monastero di S.Maria in Cingla prima e di Montecassino poi, c’è da penetrare  ancora  la discreta presenza di eremiti, di uomini di cultura e di preghiera, di persone che hanno creato l’habitat odierno e che hanno protetto la genuinità dei luoghi ed il tesoro che conservano.

 

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[1] Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, di Giuseppe Cappelletti, 1864, pag.92;

 

[2] “Historia abbatiae Cassinensis” di Erasmo Gattola,Leo, Petrus- 1733 -999 pagine

[3] Convento benedettino in località Cegna e nell’area di un’antica staio sulla via tra Venafrum e Allifae (cingulum/cingila/cegna).

[4] “Historia abbatiae Cassinensis” di Erasmo Gattola,Leo, Petrus- 1733 -999 pagine.

 

[5] R.Villani,La terra dei Sanniti Pentri, Curti,1983.

[6] Vico Monelle è località in territorio pratense ma vicina a Cingla e Corte Ortale è compresa nel Vico Monelle.

[7] Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, di Giuseppe Cappelletti, 1864, pag.92.

 

[8] Quaderni di cultura del museo alifano XII Dante Marrocco – Il Monastero di Santa Maria in Cingla – Napoli -1964

 

[9] Non può condividersi il riferimento geografico a monte Cimogna che l’autore non solo non motiva, ma riduce nel contesto innanzi riportato ove più opportunamente si individuano i confini dei possedimenti del Monastero.

[10] Angelo Gambella, Alife normanno-sveva. La città, il castello, la cattedrale

 

[11] Leone Ostiense nei suoi Chronica (cap. 51, Lib. I)

[12] Domenico Chiazza, Le Valli del Sava e del Lete, 2009,pagg.116-118

[13] Gattola, ibidem, pag.47

[14] Ma Caiazza sembra contraddirsi e comunque è mera ipotesi non ancora suffragata da elementi certi, anche se il nome Fara è certamente di origine longobarda (Vedi Cimino L.,La toponomastica antica di Valle Agricola, 2008).

[15] Villani p.35 e figura a p.36

[16] Angelo Gambella, ibidem

 

[17] Dagli atti conservati a Montecassino in originale o trascritti in copia nel Registrum Petri Diaconi, risalta l’enfiteusi, consistente nel concedere in godimento un fondo con l’obbligo di pagare un canone annuo quasi sempre  in prodotti naturali.

 

[18] Gattola Hist. I, 47 Actum in curte S. Mariae: L’abbatessa Gemma dà in enfiteusi un terreno in Valle Eremonio e un altro in Valle S. Nicandro, anno 1089.

 

[19] Serra de monte que dicitur Eremonio, Balle S.Benedicti seu Balle de Eremonio ed infine Balle Santi Nicandri, sono i termini usati dai documenti medioevali per indicare  l’attuale Comune di Valle Agricola.

[20] Angelo Gambella, ibidem

[21] “Historia abbatiae Cassinensis” di Erasmo Gattola,Leo, Petrus- 1733 -999 pagine.

 

[22] Domenico Caiazza, ibidem, pag.135