di Luigi Cimino
Il territorio sannita si estende tra il Sangro e l’Ofanto fino alla pianura campana ed alla Capitanata: confina a nord con quello dei Marsi e dei Peligni, a sud con quello dei Lucani, con i Frentani ed i Dauni ad est, con Aurunci, Sidicini e Latini ad ovest. “Quando apparvero per la prima volta alla ribalta della storia nel 354, i Sanniti - ricorda il Salmon- erano un popolo temibile”, controllavano un territorio nell’ordine dei quindicimila chilometri quadrati, “costituivano la più vasta unità politica dell’Italia del tempo” e “vi sono comunque tutti i motivi per ritenere che alla metà del IV secolo la popolazione del Sannio, al pari del suo territorio, fosse maggiore di quella di ogni altro stato o lega contemporanea dell’Italia peninsulare”. Gran parte di questo popolo di cacciatori, di pastori e di agricoltori vive in piccoli borghi ed in villaggi rurali, in campagna o in montagna, spesso anche in capanne ed in rifugi stagionali. Non mancano, però, esempi di veri e propri centri urbani, anche tra quelli meno noti, come Trebula, Caiatia e Cubulteria; altre città sono state scoperte a Locus Angitia, Monte Pallano, Monte Vairano e Roccavecchia di Pratella, nel Sannio appenninico. L’unità politica e amministrativa è il toutos che comprende un certo numero di distretti, con centri abitati o non: questi corrispondenti al pagus latino e, sostanzialmente, alla contrada italiana, rappresenterebbero l’articolazione religiosa, amministrativa e economica di base. La massima autorità è il meddix, che in latino è tradotto con praetor: ciascun meddix tuticus è un vero capo di Stato ma, nei momenti cruciali e di fronte a nemici comuni. tutte le tribù si ritrovano insieme in nome di una coscienza nazionale sempre avvertita.[1]
Recentemente alcuni studiosi hanno scoperto l’esistenza dell’acropoli sannita di Monte San Silvestro nel Comune di Valle Agricola, sia per la presenza di mura megalitiche, anche se per lo più distrutte, che per la lettura ancora attuale del sito abitativo sannitico, sia per il ritrovamento di terrecotte con la probabile presenza di qualche fornace ( si noti che in prossimità del sito, a m.909, v’è una zona denominata “Fornella”). Ed infatti in Valle Agricola, nel 1926[2] vennero alla luce due tombe con vasi posti verso le teste degli scheletri, in contrada Camposiello; in località Campo-Fontana S. Nicandro-Cese in una tomba di mattoni “lo scheletro aveva una striscia di bronzo al petto”. Sulla fine dell’Ottocento nelle località Grotta e Cese Querce in tombe in mattoni furono trovate una lama di ferro lunga 28 cm. ed una spada. [3]
Si ha notizia dell’esistenza di leghe, che riuniscono le varie tribù di lingua osca, dopo il 400 a.C. Una lega lucana, infatti, nel 390, è alleata, come s’è detto, con Siracusa. Quella sannitica, della quale non fanno parte i Campani, si è già formata, secondo Diodoro Siculo e Tito Livio, nel 354, quando stipula un trattato con Roma. Probabilmente sorta per motivi religiosi, finisce per assumere, nel tempo, carattere prevalentemente militare: dei gruppi che ne fanno parte non si ha notizia.
Gli storici ricordano solo i Carecini, i Pentri, i Caudini e gli Irpini come nemici di Roma nelle guerre sannitiche. I primi abitano la zona più settentrionale del territorio, presso Casoli, ora in provincia di Chieti, e le città di Cluviae e Juvanum, all’ombra della Maiella’. [4] I Pentri occupano il Matese e le vallate del Tiferno e del Trigno, concentrati soprattutto nella zona di Bovianum e Saepinum, ora Terravecchia. Sarebbe pure pentra Aesernia, avamposto sannita contro i Frentani. I Caudini sono insediati tra il Taburno ed i monti Trebulani, nella valle dell’Isclero e nella parte centrale di quella del Volturno: il loro capoluogo è Caudium, forse l’attuale Montesarchio, gli altri centri sono Caiatia, Trebula, Cubulteria e probabilmente Telesia, e Saticula. Gli Irpini popolano le valli dell’Ofanto, del Calore e del Sabbato e le alture che le sovrastano: si avvicinano ai Lucani non solo per la contiguità del territorio ma anche per abitudini e tradizioni comuni: sono chiamati lupi, dall’osco (h)irpus che corrisponde al greco lykos. I Romani tendono a distinguere gli Irpini dagli altri Sanniti e Livio non li nomina mai nelle pagine dedicate alle guerre con Roma: i loro maggiori centri sono Abellinum, Aeclanum, Compsa, Malventum, che diverrà poi Benevento, e Trevicum, l’abitato più alto, ad oltre mille metri.
Nel IV secolo i Sanniti cercano
ancora altri spazi orientandosi verso la Puglia fino a Luceria, attestandosi
nell’area del medio ed alto Volturno, spingendosi verso il Liri e le terre dei
Volsci e conquistando Atina e Cassino. [5]
E d’altra parte la presenza dell’uomo nelle valli e sui monti del Massiccio del Tifernus, poi Matese, è attestata proprio dal ritrovamento di numerose necropoli dislocate qua e là nel massiccio, a sicura prova dell’esistenza di abitati, villaggi montani e luoghi frequentati che sorgevano presso sorgenti, in zone adatte alla pastorizia e protette da incursioni e saccheggi.[6]
Numerosi studi hanno generato una puntuale sintesi delle presenze archeologiche di epoca sannitica sinora individuate nel territorio alifano-matesino, con la scoperta e l’identificazione della cinta fortificata di monte Cavuto con l’antica Callifae, oppidum conquistato dai Romani insieme a Rufrae ed Allifae nel 326 c.C.(Livio VIII,25,4).[7]
Aree di necropoli risultano disseminate in tutto l’altopiano del Matese: tombe furono rinvenute nel 1911 a Letino (località Le Secine, S. Pietro e Rave della Noce); a Valle Agricola alla fine dell’800 (in località Cese, Querce, Grotte) e nel 1926 (località Camposiello e Campo-Fontana S. Nicandro); a Fontegreca nel 1955 presso il Cimitero (con lancia di ferro e vaso di epoca arcaica); ad Ailano (nelle località Colle Sabelluccia-Starza, ed in via Roma), negli anni 1855-1870 (in località Cerqueta) e nel 1911 (io località Querceto, dove vennero scoperte quattro tombe di tegole e muratura, di cui una di bambino, contenente ttn pettine di legno, un cerchietto di bronzo, un anello con castone, un vasetto di ceramica comune e una lancia io ferro).[8]
S’è accertata l’esistenza di cinte fortificate in opera poligonale di Mandra Castellone presso Capriati a Volturno e di Monte Castellone presso Torcino, il sito di Monte Cavuto nella località Roccavecchia di Pratella che faceva parte di un sistema difensivo posto, lungo la riva sinistra del Volturno, a controllo dell’unica via di accesso dalla Campania al Sannio Pentro.[9]
Questi insediamenti, che non debbono aver oltrepassato la dimensione del villaggio, risultano più numerosi nella zona a destra del Volturno: i principali parrebbero quelli di Caiazzo (Caiatio), Alvignano (Compulteria), Treglia (Trebula Balliensis), Rocchetta di Pietramelara, Vairano Patenora (Austicola), Presenzano (Rufrae). Sono in ogni modo presenti anche al di là del fiume: Alife (Allifae), e il territorio alifano (monte Cila,S.Potito Sannitico, S.Gregorio Matese, S.Angelo d’Alife, ecc.). Il loro sviluppo va verosimilmente attribuito alla valorizzazione dell’itinerario naturale della valle del Volturno[10].
Tra le cinte fortificate in opera poligonale è stata scoperta anche quella di Monte San Silvestro in tenimento di Valle Agricola[11].
In tutte le presenze archeologiche di che trattasi si rinviene l’oppidum, sempre provvisto di acropoli e recintato da poderose mura in opera poligonale ed esso non era soltanto un luogo di rifugio, ma anche con funzione abitativa.[12]
Molto utile a tracciare l’esistenza dei centri più antichi del territorio alifano- matesino è lo studio delle carte antiche al fine di risalire alla loro origine, alla loro eventuale scomparsa od alla loro più recente apparizione. E’ utile la cartografia anche ad individuare i monti, le vallate, i pianori, i fiumi ed i torrenti che vi scorrono, le sorgenti, le strade di collegamento, i segni che indicano l’esistenza di parrocchie, diocesi, monasteri ed altro.
Si può risalire così all’esistenza di insediamenti preromani, allo sviluppo dei traffici con lo scambio dei prodotti, anche se nelle carte antiche (fino al XVIII secolo) mancano gli itinerari stradali o raramente sono accennati; si dovrà sopperire alla carenza di rappresentazione grafica con le fonti storiche del territorio.
“Scorrendo ora le carte dell’epoca dopo aver tralasciato le carte tolemaiche poco significative per la zona in esame, esaminiamo la carta di Terra di Lavoro redatta dal Cartaro nel 1613 su un rilevamento eseguito alla fine del ‘500 dallo Stigliola. In essa non solo è delineato il vecchio confine di Terra di Lavoro con annesso il Nolano e la zona di Sora fino a Terracina e parte del Molise, ma sono ben messi in evidenza i fiumi e i laghi, le zone paludose, le sedi vescovili e arcivescovili, le arcipreture. I centri riportati sono: Capriati - Ciorlano – Fossaceca - Lutino - Prata - Valle di Prata - Pratella - Ailano - Mastrati. I fiumi ben delineati oltre al Volturno sono il Sava o Sabba e il Lete.
Dal Cartaro deriva la carta di Terra di Lavoro pubblicata dal Magini nel 162C e da questa derivano una serie di carte tra cui quella del Jansonius del 1647, del De Rossi del 1714, dell’Alfano del 1795.
La prima è più ricca di segni rispetto a quella del Cartaro, cominciano ad essere delineati oltre ai corsi d’acqua, ripetuti con la stessa grafia, colorati in verde e arricchiti dai nomi, anche i sistemi montuosi con tecnica a sfumo, le selve ed alcuni centri minori.
I centri nuovi sono Torcino e Limagna situati tra La Valle ed Alife, mentre Rocca Vecchia è indicata con un segno che indica arcipretura.
La seconda è molto simile alla prima, compaiono qui molto più evidenti le catene montuose ed è indicata per ogni centro la sede religiosa: Alife compare, come Venafro, Vescovado mentre di Torcino è indicata solo la località e non vi è più sede religiosa.
La terza è meno bella nella redazione grafica: la orografia è appena accennata, i centri riportati sono gli stessi, gruppi di alberelli indicano le zone selvose e vi e indicazione della sede religiosa vescovile, con simbolo differenziato a seconda dell’importanza.
Sempre di derivazione maginiana è la Carta di terra di Lavoro tratta dall’Atlante settecentesco di Paolo Petrini, dove per la prima volta compare la viabilità e sono raffigurati con molta cura i monti, i centri abitati e le due strade più importanti: quella per l’Abruzzo e quella per Roma.
Di grosso interesse, ma purtroppo marginale per la nostra zona, è la carta che fece eseguire Monsignor De Guevara nel 1635 e che riguarda solo il territorio diocesano di Teano. La veduta del territorio è resa efficace dai borghi delineati in prospettiva con molta fedeltà, dai monti e dalle strade; le strade minori sono raffigurate con puntini e hanno il compito di evidenziare il collegamento tra i vari centri. Nella zona di Presenzano-Sesto che è a confine con la nostra sono presenti due chiese: S. Maria delli Gorlini e S. Maria delle Pienteme, quest’ultima posta di fronte al Lago delle Pienteme; la via per l’Abruzzo e la via Latina sono segnate nel loro percorso antico in quanto solo nella metà del ‘700 i Borboni iniziarono la rettifica e la costruzione di quella attuale carrabile. È segnato un collegamento con 5. Felice ed è molto evidente il bosco ai piedi di Presenzano ed il corso del Volturno, modificato rispetto all’attuale.
È del 1776 la carta del Trutta allegata al suo volume sulle Antichita’ Alifane; interessante, anche per la scala di rappresentazione, oltre l’ubicazione dei centri, la viabilità che li collegava e la via Latina, ricostruita dall’autore secondo le argomentazioni del volume. Sulla carta del Trutta non compare Roccavecchia e ciò ci induce a pensare che il borgo era completamente abbandonato, mentre sono indicate in dettaglio la Caccia Reale di Torcino con il Ponte Borbonico sul Volturno ed il Ponte Latrone.”[13]
Ora andando ad esaminare più
nel dettaglio le carte innanzi richiamate relativamente alla Terra di La
Valle (odierna Valle Agricola),balzano subito agli occhi le seguenti
indicazioni: nella pianta di Jansonius del 1647 è indicato il nucleo abitato
denominato La Valle,ma è anche posto in rilievo nel suo territorio altro
nucleo indicato e segnato Pesco Siluestri; nella pianta del De
Rossi,Provincia di Terra di Lavoro, è indicata l’arcipretura ed il borgo di
La Valle e, ben evidenziato, il Pesco di S.Silvestro; nella Pianta del
Trutta, 1776, Carta del Corso del Volturno, il centro viene indicato con Valle
e manca l’indicazione del Pesco di S.Silvestro; nella Carta geografica
della Sicilia Prima del Rizzi-Zannoni,1779, il piccolo centro è indicato con Vallata,
mentre in Atlante del Regno del Rizzi-Zannoni,1789, torna ad indicarsi il centro con La Valle.
Va fatta,quindi, la prima
considerazione e cioè che il Pesco di S.Silvestro con le prime carte
geografiche era indicato alla pari del
nucleo abitativo di La Valle, il che fa dedurre che fino al 1600 entrambi i
siti fossero abitati e noti; la seconda considerazione scaturisce dal fatto che
nelle carte geografiche a partire da quella del Trutta scompare l’indicazione Pesco
di S.Silvestro, evidentemente perché sito in via di abbandono. Nella
cartografia attuale si indica come Monte San Silvestro.
Va anche aggiunto che,prima
della realizzazione delle carte geografiche, fino al 1089 il toponimo era Valle
di S.Nicandro, così citato nelle fonti documentali per la particolare
importanza del convento benedettino sorto nella omonima contrada di S.Nicandro,[14]
successivamente si denominò,come visto,
La Valle,poi Valle di Prata e nel 1863 Valle Agricola(il 20 aprile 1980,infatti, a
seguito di referendum, non passò la nuova denominazione di Valle Matesina).[15]
Naturalmente, per il periodo etrusco-sannita,di particolare importanza, oltre alle fonti storiche, sono di grande utilità le scoperte di tombe nella zona (con i reperti museali che andrebbero catalogati e mostrati agli studiosi), punto di partenza per l’ubicazione degli antichi centri abitati, ma soprattutto per approfondirne la consistenza, la funzione e particolarmente l’epoca.
Non meno importante, a tale scopo, è La tabula Peutinger in Area Sannita[16],nonché uno studio approfondito della geografia dell’epoca con particolare riferimento alla zona alifano-matesina.
Monte San Silvestro, si può dire che domina buona parte della vallata del Volturno sottostante,guardando sia verso Capriati a Volturno e Venafro che verso Baia e Latina, Dragoni,Alvignano, Caiazzo, Vairano Patenora, Pietravairano e fin verso il vulcano di Roccamonfina e potendosi scorgere da ogni paese che sorge nell’arco di tale visuale. Potremmo anche dire che Monte San Silvestro, mentre domina la pianura attraversata dal Volturno, dal Lete e dal Sava, poi si nasconde tra le altre montagne, di gran lunga più alte, e forse proprio per questo fu individuato e scelto nell’antichità sannita per essere un’acropoli ed un oppidum munito di difesa idonea, prima fra tutte quella naturale dovuta al fatto di trovarsi al centro di una zona impervia e difficilmente raggiungibile, ma anche punto di vedetta necessaria alla difesa dell’antico popolo Pentro.
Ed infatti, oltre che da un’osservazione spaziale, anche da un’attento studio cartografico è facile evidenziare che questo monte si pone come avanposto di tutto il massiccio del Matese da cui si può spaziare per 180 gradi, senza trovare ostacoli sulla visuale, pur fronteggiando l’altro sito fortificato di Monte Cavuto di Roccavecchia di Pratella e dominando quelli di Mandra Castellone presso Capriati a Volturno e di Monte Castellone presso Torcino.
L’altra caratteristica orografica è quella di essere,invece, circondato sul versante verso Valle Agricola da vallate interne con pendii dolci, facilmente terrazzabili e sfruttabili dal punto di vista agricolo con possibilità per l’alpeggio pastorale, ma soprattutto collegato,attraverso un sentiero secolare, con il poggio di San Nicandro,[17] per raggiungere piuttosto agevolmente l’attuale abitato di Valle Agricola.
E caratteristica ancora più importante per lo sfruttamento del sito è l’essere localizzato al centro di una zona ricca di sorgenti e di acqua, come la Costa della Prece,S.Nicandro e soprattutto pervaso di polle e sorgenti che gli sgorgano d’attorno.
Dal punto di vista strutturale
l’abitato si presenta come un sito di sommità delimitato e protetto a sud da
pareti ripidissime che offrono una difesa naturale ed a nord, da un muro
megalitico oggi in quasi completa rovina e riconoscibile solo per qualche breve
tratto. Le mura sostenevano un terrapieno tuttora percorribile e che per circa
170 metri cinge tutto il versante nord: sul terrazzo e nella zona
immediatamente a monte dello stesso si
rinviene la terracotta.
Fra Monte San Silvestro e Roccavecchia di Pratella si trova Colle dell’Antica, o meglio,come suggerisce D.Caiazza,”colle che sta avanti”, [19]e conferma che in epoca sannita, sicuramente questo abitato faceva riferimento alla, sicuramente più grossa, Roccavecchia di Pratella.
Pertanto le dimensioni di questo villaggio probabilmente non superavano quella della piccola frazione. La piantina proposta mostra, in giallo, l’andamento del terrazzo ed in bianco il sentiero che raggiungeva il luogo.
Sono stati rinvenuti e fotografati da N.Lombardi numerosi frammenti di terracotta. Fondi, orli, manici e resti di vasellame con decoro a pettine e lavorazione a spatola sono stati scoperti all’interno del perimetro dell’antico luogo di frequentazione, delimitato da un terrazzo a nord e dallo strapiombo a sud.
Sono lavorati a tornio e spesso malamente cotti. Una piccolissima microlama è stata ritrovata durante una visita alla cima.
Sono assenti i resti di tegoloni, le consuete cisterne che si rinvengono all’interno delle strutture sommitali ed è dubbia la presenza di ceramica a vernice nera.
Il colore dell’argilla che caratterizza il territorio immediatamente ai piedi del colle eletto a residenza, risulta molto simile al colore di alcuni frammenti di terracotta rinvenuti sulla cima del S.Silvestro per cui in via del tutto ipotetica si può pensare all’esistenza di qualche forno utilizzato per la cottura di manufatti argillosi lavorati al tornio.
4 c-La frequentazione del
luogo e del territorio
Sia la sommità che la tipologia della struttura (terrazzo) lasciano pensare ad un sito di frequentazione preromano.[20]
Peraltro la stessa
toponomastica (Costa Palombara è poco distante dal Monte S.Silvestro)
avvicina questo luogo ad altri siti di frequentazione sannitica (Monte S.
Angelo a Palombara sui Monti Irpini, M. Palombella sul Camposauro).
L’antica frequentazione della zona è indiscussamente documentata certamente dalla toponomastica su riportata, ma essa è zona di frequentazione anche nei primi secoli del cristianesimo e nel primo Medioevo, vuoi per la presenza del rinomato monastero benedettino di S.Nicandro,[21] dipendente direttamente dall’Abbazia di Montecassino, ma anche dalla presenza nel territorio di ben tre grange,di cui una cistercense e particolarmente per i contratti di affitto e di enfiteusi intercorsi appunto tra l’Abbazia di S.Maria della Ferrara ed alcuni cittadini di Valle di Prata[22], tanto che ancora oggi rimane il toponimo di Starza Ferrara.
D’altra parte la zona è stata storicamente e sicuramente
frequentata anche in epoca longobarda se si tien conto della etimologia di
alcuni toponimi come “Pozzo Fara”, piccola frazione di Valle Agricola
sul confine tra Prata Sannita e Valle Agricola, immediatamente sottostante il Monte
San Silvestro.[23]
E’ auspicabile uno studio storico-archeologico più approfondito sia per i ritrovamenti fin qui rinvenuti, sia per la particolarità del luogo, sia per i certi collegamenti storici tra il sito sannita e quelli viciniori di Roccavecchia di Pratella e Monte Castellone di Ciorlano, ma soprattutto per la notorietà che il luogo ha avuto nella cartografia seicentesca e settecentesca, per la vicinanza con il rinomato monastero benedittino di S.Nicandro[24] e particolarmente per la rinomanza ancora attuale della leggenda legata al Monte S.Silvestro riferita alla “Donatio Constantini” in favore di Papa Silvestro I.[25]
Luigi
Cimino - biografia
Annuari
1999-2001 Home
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[1] da "Antichi popoli del Sud" di Gianni Custodero-Capone editore, anno 2000;
[2] “La terra
dei Sanniti Pentri” di Villani;
[3] Il territorio alifano in età
sannitica, in
AA.VV, p. 327. La notizia è confermata da L.Cimino, Valle
Agricola, 1973, pp. 8-9 che riferisce di "scoperte di oggetti, monili
e tombe etrusche, avvenute nell'anno 1926",(il rinvenimento di vasi
dipinti fece pensare agli Etruschi, ma si tratta evidentemente di ceramica a
figure rosse spesso rinvenuta nell'Alifano: cfr. D. MARROCCO, l'Arte,
cit. p.
[4] da "Antichi popoli del Sud" di Gianni Custodero-Capone editore, anno 2000
[5] da "Antichi popoli del Sud" di Gianni Custodero-Capone editore, anno 2000
[6] A.Maiuri,Notizie
degli scavi di antichità,Piedimonte d’Alife; F.Russo,Dai Sanniti
all’esercito italiano.La regione fortificata del Matese;
[7] D.Caiazza,Il
territorio alifano in età sannitica, in AA.VV., Il territorio alifano…
[8]
da notizie di archivio
e da D. CAIAZZA, Il territorio alifano
art. cit. supra, pp.49-50; ma anche in Valle Agricola, Paese mio, di
Luigi Cimino, anno 1999 e Claude Albore Livadie in Testimonianze
preistoriche nel territorio alifano-matesino da Il territorio alifano,pag.12.
[9] Floriana
Miele in Il Territorio tra Matese e
Volturno, pag.56 e segg.
[10] G.Tagliamonte, I Sanniti- Caudini, Irpini, Pentri, Carricini, Frentani-,Longanesi e C.,Milano, 1996,p.70 e segg.
[11] Luigi Cimino in Valle Agricola, 1973 e 1999, D.Caiazza Il territorio alifano in età sannitica,pag.50.
[12] Sul modello abitativo di tipo paganico-vicano, cfr. A.
LA REGlNA, Dalle guerre sannitiche alla romanizzazione, in AA.VV, Sannio,,
Pentri e Frentani … catalogo della mostra, op. cit. a nota
14, pp.29-42 ed in particolare pp.37-40; nonché M. TORELLI, Per il Sannio
tra IV e I sec. a.C.: note di ardteologia, negli Atti del Convegno:
AA.VV, Sannio, Pentri e Frentani..., op. cit. pp.27-34, passim. Cfr.,
infra, Il territorio tra Matese e Volturno, pp.21-31.
[13] Rosa Carafa in La valle di Prata nella cartografia antica,aprile 1986;
[14] Luigi
Cimino in Valle Agricola,Paese mio,1973 e 1999,pagg.32,44 e 45, e
D.Caiazza ne L’alto casertano-6 Itinerari storico naturalistici nel nord
della Campania,pag.39.
[15] Valle di S.Nicandro, poi chiamata Valle di Prata ed
oggi Valle Agricola cfr."Il territorio tra Matese
Volturno",pag.27; ma anche in Luigi Cimino in Valle Agricola,Paese mio,
1999,pagg.101-103
[16] P.Nuvoli, La Tabula Peutinger in Area Sannitica, Edizioni Vitmar, Venafro,1998, pp.67-68
[17] V’è un collegamento con Venafro?:
Museo archeologico, Castello Pandone, Cattedrale di S. Maria Assunta, chiese
dell’Incoronata, del Purgatorio, dell’Annunziata, Convento di S. Nicandro,
Anfiteatro romano “Il Verlasce”, Palazzo Caracciolo di Miranda. A venafro, il
17 giugno di ogni anno si festeggia S.Nicandro, ricordato con S.Marciano.
[18] da Le sedi umane in territorio caudino,Progetto, foto e testi di Nicolino Lombardi;
[19] Da "Il territorio tra Matese e Volturno",D.Caiazza;
[20] da Le sedi umane in territorio caudino,Progetto, foto e testi di Nicolino Lombardi;
[21] Villani R.U.La Terra dei Sanniti Pentri e Luigi Cimino in Valle Agricola,Paese mio e D.Loffreda,Abbatia Sanctae Mariae de Ferrara in Agro Vairano-Loffredo Editore,1999
[22] D.Loffreda,Abbatia Sanctae Mariae de Ferrara in Agro Vairano-Loffredo Editore,1999,pagg.35,36 e 79
[23] ) La pastorizia dovè originare il nome Prata dal
latino prata=prati,testimoniato già nell'VIII secolo, cioè in epoca
lomgobarda allorquando la zona fu interessata da un intenso ripopolamento
spinto fin sopra Valle Agricola. Qui si stanziarono longobardi di cui è
testimonianza nel toponimo Fara (anche oggi Pozzo Fara), che in
origine designava una stirps,una frazione gentilizia e poi passò a
significare un piccolo nucleo d'insediamento demografico e fondiario ". Da
"Il territorio tra Matese e Volturno",pag.46.
[24]P.A.Gambale, Venafro tra storia e cronaca, s S. Nicandro, con S.Marciano e Daria,vennero giustiziati per la fede cristiana, sotto l’impero di Diocleziano e Massimo, il 17 giugno 303 d.C. in Vevafro. Notasi la vicinanza temporale con il rinvenimento di Papa Silvestro I sul Monte S.Silvestro di Valle Agricola,
[25] Luigi Cimino in Valle Agricola,Paese mio,pagg.71-76.