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■ La storia del
Matese
(Tratta da Invito al Matese,1953
a cura dell’EPT di Caserta e per iniziativa del comune di S. Gregorio M.)
di Dante
Marrocco
Affinché in un opuscolo
turistico la visione del Matese risulti completa non dovrà mancarvi il cenno
storico. Queste montagne hanno assistito da millenni al passaggio e all’urto
fra i popoli nei loro sforzi d’insediamento. È necessario perciò ricordarne i
fatti e i momenti più importanti.
Premetto che i geologi –
Cassetti, Colamonico, Dainelli, Rühl – dalla stratificazione delle rocce, dai
minerali e dai fossili, ci hanno mostrato oltre all’ossatura del massiccio
anche la sua alterna vicenda, grandiosa nell’infinito volgere del tempo, dalla
sua emersione durante il Cretaceo al suo abbassamento e risollevamento dal mare
durante tutta l’Era terziaria fino all’attuale rivestimento postpliocenico. Di
qui, con un balzo di settecentomila anni attraverso l’epoca glaciale, passiamo
all’ultima preistoria italica.
Tremila e più anni or
sono, nei primordi della civiltà italica il Matese, massiccio isolato e
compatto, già aveva cominciato ad assolvere quella duplice funzione che lo
caratterizza poi sempre: isolamento e difesa. Verso quest’epoca villaggi di
pastori indoeuropei venivano edificati lungo i suoi fianchi presso Boiano,
Faicchio, Cerreto, Isernia, Letino, Longano, Morcone, Piedimonte,
Roccamandolfi, Sepino. I prodotti di questo periodo l’arma e l’utensile di
selce levigata, il vaso a impasto, l’abbozzo di scultura – ci mostrano un’arte
primitiva sì ma volenterosa, e le murazioni megalitiche ci fanno pensare ad
urti e lotte, non tramandate, dall’unico movente possibile della difesa dei
pascoli e del controllo delle pianure periferiche.
Ed eccoci alla storia.
Ventisette secoli or sono arrivarono in Campania i primi coloni greci. Gli
Italici della pianura, gli Osci, sentirono subito il fascino dell’Ellade, al
contrario gli abitanti dei monti resisterono con ostinatezza a questa conquista
spirituale.
Non era, non poteva
essere semplice gusto di esotismo o passatismo; l’antropogeografia ci dice che
era soltanto questione di differenza d’economia fra pianura e montagna. Il
Matese era veramente il bastione dell’Italia montuosa, povera, conservatrice e
si avviava perciò fatalmente ad essere l’espressione più viva di un contrasto
economico che si sarebbe presto rivelato ideologico.
Tra il 6° e il 5° secolo
a.C. sorgono e si affermano alla sua periferia le città sannitiche dette in
seguito Aeserniae, Alliphae, Bovianum, Saepinum, Thelesia.
Hanno a capo il meddix, il Kvaistur, L’Aidilis, e vi si
sente il Kombennion o assemblea popolare; vivono indipendenti e si
dividono il Matese secondo i naturali displuvi dando così origine a divisioni
territoriali che, mantenute da Roma si perpetueranno fino a noi nelle
circoscrizioni vescovili.
Ma arrivano i Romani, e
dopo cinquantatre anni di lotta piegano il Sannio. Sul Matese si combatte, ed è
questo il momento epico della sua storia. Vi salgono le legioni nel 325 dopo
presa Alliphae, dirette a Bovianum ma vi sono arrestate; C.
Marcio Rutilo nel 310 vi si accanisce ma è ributtato in basso; vi sale nel 307
il console Q. Fabio Rulliano in un fantastico inseguimento notturno e vi porta
la distruzione… E così questi anni immortalati da Livio (che dà al massiccio il
primo nome storico, il Tifernus mons) segnano pure, proprio su di esso,
l’epopea selvaggiamente eroica di un popolo che non vuol morire! E il Matese dà
anche il capo alla guerra, quel Ponzio Telesino che nel 321 umilia i Romani
alle Forche Caudine. Sul Matese infine le ultime resistenze del Sannio con
feroci irruzioni in basso.
Seguono le guerre
cartaginesi. Nel 217 Annibale passa per Alliphae e Fabio Massimo lo
sorveglia dal M. Cila a Faifola (Faicchio). Segue la guerra sociale, ed
anche stavolta il Matese tiene alta la bandiera della rivolta e fornisce i
capi, Pompedio Silone e l’altro Ponzio, entrambi di Telese.
Finalmente le guerre
nella penisola cessano, l’amministrazione dei municipi – retti dall’ordo
decurionum da curatores e patroni – è pacifica, e il Matese,
compreso da Augusto nella IV regione italica risulta ormai così diviso: Bovianum
e Thelesia sono città federate, Aesernia invece è colonia latina,
Alliphae e Saepinum (poi Altilia) sono soltanto colonie militari,
e il loro territorio è ager pubblicus di Roma. Veterani di Scipione e
plebei romani si trapiantano nella zona, si sviluppa l’agricoltura,
l’allevamento transumante, il commercio di legname, e per la prima volta il
massiccio è attraversato da una strada.
Vi si è introdotto
intanto il Cristianesimo, organizzato già nel 4° e 5° secolo nei vescovati di
Alife, Boiano, Isernia e Telese; e poco dopo, verso il 6° secolo nasce il
secondo nome del massiccio, quello attuale, dalla radice greca ma dall’oscuro
significato. Siamo ormai al Medio Evo. Il Matese si fraziona: buona parte è
sotto gli sculdasci del Duca di Benevento, alcune zone sotto i gastaldi del Re
d’Italia. Nel 9° secolo c’è su di esso perfino lo stanziamento di nuclei etnici
balcanici e del rito greco, e dal Garigliano vi puntano i Saraceni. Il
monachesimo vi si è diffuso: da un monastero nasce San Gregorio; da un altro –
la Cingla di Ailano – esce uno dei primi documenti del volgare italiano; in un
altro – S. Salvatore di Telese – si ferma nel 1098 Sant’Anselmo di Aosta e vi
pensa l’opera Cur Deus Homo.
Arrivano a stormi i
cavalieri Normanni. E verso il 1130 domina il Matese e la Terra di Lavoro il
conte Rainulfo III Drengot che, lottando col cognato, il Re Ruggero II, arriva
al possesso del Ducato di Puglia e cioè dell’Italia meridionale. I Normanni
hanno portato il feudalesimo,ed il Mtese n’è costellato, Federico II dona il
lago e il campo maggiore all’abate di Vairano; ma è, come si sa, un feudalesimo
patriarcale e benevolo che rende possibile anche un Comune rustico:
l’Università. Questo regime lega alla zona il nome e la storia di alcune grandi
famiglie e dignitari fra cui i Pandone da Boiano a Prata, i Sanframondi e i
Carafa ad Est, l’abate di S. Salvatore e i Gaetani a Sud, ma intanto è proprio
da quest’epoca che il massiccio rimane per sempre diviso tra la contea di
Molise e il giustizierato di Capua, e su di esso i costumi, la parola, la
direzione degli interessi tendono ormai a differenziarsi dallo spartiacque ai
due versanti opposti. È questa un’altra distinzione basilare, necessaria alla
visione antropica della montagna e che corrisponde alla sua configurazione
verticale.
Siamo ormai ai tempi
nostri. C’è i Risorgimento nazionale, e il Matese vi partecipa con la sua
Legione di volontari. Segue il brigantaggio, e il massiccio è purtroppo
dominato dal Giordano, capo di cinquecento banditi. Arriviamo così finalmente
al 1943, anno in cui s’è avuta l’ultima manifestazione dell’isolamento del
Matese, bastione di rifugio invalicabile per tutti. Questa sua funzione cesserà
con le nuove strade transmatesine, e il massiccio farà dir di sé, se non più
per azioni di sangue o per solitudini paurose, certo per quei prodotti della
civiltà moderna per realizzare i quali già ha cominciato a modernizzare il
volto.
Del suo passato resterà
allora appena un ricordo sbiadito che però, in certi momenti, quando su di esso
si sfrena la tormenta o ci si raccoglie nel bivacco, ci parlerà ancora,
nostalgicamente, di quella storia antica, forte, sanguinosa, che ho ricordato.
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