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bibliografico
Giovanni Guadagno
(in “Atti dell’VIII incontro
culturale Alife tra storia e moneta
-Alife, 25 aprile 1998- ”, Cassino 1998, pp. 5-9)
(Alife)
Non si conosce il nome delle prime popolazioni che
abitarono il “Territorio alifano”. La memoria storica, servendosi di fonti
letterarie, suppone solo che, nell’XI secolo a.C. le montagne appenniniche del
Matese erano abitate, dagli Opikoi
(corrispondente al romano Osci), « venuti
a conoscenza di Romani soltanto nella prima metà del IV sec. a.C., quando,
dalle zone montane del Sannio, ... si mossero per discendere in Campania,
rasentando i confini del Lazio e cambiando totalmente il quadro della Campania
del tempo »[1].
Per lo storico Giuseppe Galasso, però, non nel IV,
ma nel V secolo a.C. « la gente sannita,
staccatasi dal ceppo umbro-sabellico a cui apparteneva e, occupato il Matese
(Tifernus), ne fece il centro di una barriera difensiva costituita dalle
quattro città da essa fondate e poste ai quattro aditi del massiccio: Boviano,
Isernia, Alife e Telese »[2].
Quando, nel
Le successive battaglie tra Romani e Sanniti si
svolsero lontano dal « territorio alifano
». Solo nel
I Sanniti rimasero indipendenti, ma legati ai Romani
da un “foedus”, in un’alleanza
vincolante. I Romani per controllare meglio i Sanniti, vinti ma non domati,
inviarono del “territorio alifano”
coloni.
Così anche il Medio-Volturno, dopo essere stato
colonizzato, assunse le caratteristiche tipiche del paesaggio agrario romano.
La popolazione sannitica, decimata dall’esercito
romano, dalle montagne e dalle colline del Matese scese a valle, dove il
territorio era stato diviso secondo i principi della “Centuriatio”, “Parcellata in
quadrati regolari”[7],
dopo aver individuato le due fondamentali linee, che si incrociavano ad angolo
retto, del “decumanus maximus” da Est
a Ovest, e del “cardo maximus” da
Nord a Sud.
Con la colonizzazione romana tutto “il territorio alifano” assunse un
aspetto completamente nuovo, e, nella pianura, all’incrocio “decumanus” e del “cardo”, veniva edificata Alliphae,
con terme, templi, acquedotti, teatro, anfiteatro, criptoportici, foro...
mentre il territorio che lo circondava appariva, nella buona stagione, ricco di
campi coltivati a frumento in pianura, e, in collina, a vigneti ed a uliveti.
Sparse ovunque, sorgevano splendide “villae”, “fora, vici, conciliabula, frazioni”[8].
Dopo la seconda guerra punica (218-
Successivamente, soprattutto durante l’epoca di
Silla (dall’estate dell’82 a.C.), con la presenza ad Alliphae di soldati
colonizzati, e, determinatasi una duratura pace e stabilità politica
dell’Impero, iniziò, come per tutti i territori romanizzati, anche per Alliphae
un periodo di straordinario splendore.
***
Strabone, che visse tra il 64/63 a.C. e il 23/24
d.C., nella sua “Geografia” parlando dell’antica via Latina, riferisce: « Poi ci sono alcune altre località, fra cui
Venafrum, da dove proviene l’olio migliore... Aesernia ed Alliphae sono città
che un tempo furono sannite: la prima è stata distrutta nella guerra contro i
Marsi, la seconda esiste ancora »[10].
Da questa testimonianza, che sottolinea anche la
trasformazione di famose città sannite in semplici villaggi come « Bovianum, Aesernia, Telesia vicina a
Venafrum »[11], si può
comprendere facilmente come, con l’inizio dell’era cristiana, il paesaggio
alifano, solcato dalle acque del fiume Volturno ed attraversato da una
diramazione della via Latina, che allora collegava Venafrum a Beneventum,
rimaneva fiorente e ben organizzato, come del resto notano altri scrittori
romani del periodo (Cicerone, Frontino, Plinio il vecchio).
Da Strabone in poi, più che a testimonianze
letterarie, ci si può riferire solo ad indagini archeologiche che ci indicano
come, a partire dal III secolo d. C., incominci, come in tutti i territori
romani d’occidente, anche per Alliphae una graduale, lenta, ma inarrestabile
decadenza.
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bibliografico
[1] G. G. Buti - G. Devoto, Preistoria e Storia delle regioni d’Italia, Sansoni Università, Firenze, 1974, pp. 123-124.
[2] G. Galasso, Storicità delle strutture regionali, in AA. VV. “Storia della Campania”, Napoli 1978, I, p. 6.
[3] Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, vol. IV, B.U.R. (libri VIII.-X), note di Claudio Monschini, Milano 1982, p. 73.
[4] Tito Livio, op. cit., libro IX, cap. 38, p. 221.
[5] Cicerone nel suo “De Senectute” volendo dimostrare che “dove domina la passione non c’è posto per la temperanza e nel regno di piacere non può certo esistere la virtù”, riferisce di un confronto su questo argomento tra Archito Nearco di Taranto e il “sannita Caio Ponzio, padre di colui che sconfisse i consoli Spurio Postumio e Tito Veturio nella battaglia di Caudio” e “avrebbe assistito alla conversazione l’ateniese Platone che, come mi risulta -egli scrive- si è recato a Taranto all’epoca del consolato di Lucio Camillo e Appio Claudio” - Cicerone, La Vecchiaia - L’Amicizia, a cura di N. Marini, con saggio di G. Petrone, Garzanti Editore, Milano 1990, p. 31.
[6] Tito Livio, op. cit., libro IX cap. IX, p. 237.
[7] AA. VV., Lineamenti di storia di diritto romano, direzione M. Talamanca, Giuffré Editore, Milano 1979, p. 279.
[8] AA. VV., Lineamenti di storia di diritto romano, op. cit., p. 273.
[9] G. M. Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, a cura di F. Assente e D. Demarco, Edizioni Scientifiche Italiane, II Vol., Napoli 1959, pag. 37.
[10] Strabone, Geografia - L’Italia - libri V e VI, introduzione e note di A. M. Biraschi, B.U.R., Milano 1988, p. 151.
[11] Strabone, op. cit., p. 151.